Il governo di Giorgia Meloni ha deciso che l’iter del disegno di legge di riforma costituzionale partirà dal Senato. Una mossa che ha provocato la reazione dell’opposizione, dal Pd al Movimento 5 stelle. Il motivo? Dietro alla scelta dell’esecutivo ci sarebbe uno scambio con la Lega sulla riforma relativa all’Autonomia differenziata. In più la scelta di cominciare da Palazzo Madama sarebbe dovuta al fatto che il Senato è considerato più “affidabile” dal punto di vista della premier: è presieduto da Ignazio La Russa, colonnello di Fdi, mentre la poltrona più alta di Montecitorio è occupata da un leghista come Lorenzo Fontana. A Palazzo Madama, tra l’altro, Fdi controlla anche la commissione Affari costituzionali, dove sarà incardinato il provvedimento, col presidente Alberto Balboni. Alla Camera, invece, la presidenza della medesima commissione è occupata da Forza Italia con Nazario Pagano.

Tutte queste questioni hanno provocato l’attacco dell’opposizione. “La giornata di oggi conferma quello che denunciamo da tempo: al Senato si svolgerà il baratto, nella maggioranza, tra Premierato e Autonomia”, dice Francesco Boccia, capogruppo del Pd al Senato. “Alla faccia del confronto parlamentare infatti – prosegue il dem – questa mattina in commissione bicamerale per le questioni regionali si è proceduto con un altro strappo da parte della maggioranza che ha impedito che fossero fatte le necessarie audizioni sulla proposta di autonomia differenziata, e deciso di votare lo stesso il parere. È quanto chiede la Lega come condizione per votare il Premierato caro a Giorgia Meloni. A questo scambio ci opporremo con tutte le nostre forze”.

Il Pd protesta anche nell’altro ramo del Parlamento. “Abbiamo appena appreso da notizie di stampa che la riforma del premierato, che era già stata assegnata alla Camera, sia stata invece assegnata al Senato, e sempre da notizie di stampa apprendiamo che la motivazione di questo spostamento è dovuta all’appartenenza politica del presidente della Camera e di quello della prima commissione che evidentemente non dà sufficienti garanzie sull’iter del provvedimento. Se fosse così sarebbe gravissimo”, dice la deputata del Pd, Simona Bonafè, intervenendo nell’aula di Montecitorio e riferendosi a un retroscena pubblicato da Repubblica.it. “Palazzo Madama – aggiunge parlando con a fianco la segreteria dem Elly Schlein – sta già esaminando il provvedimento sull’autonomia differenzia e quello sulla riforma delle province. Era normale che partisse dalla Camera l’iter sul premierato, e viene il dubbio che si stia considerando quindi questa una succursale del Senato. Chiediamo che venga convocata con urgenza una capigruppo”. Alla richiesta del Pd si sono poi aggiunti anche Alleanza Verdi Sinistra e il M5S chiedendo di “ottenere l’assegnazione alla Camera e alla commissione affari costituzionali l’istruttoria su questo importante provvedimento”. Fabio Rampelli, deputato di Fdi e presidente di turno dell’aula, ha replicato:”Mi corre l’obbligo puntualizzare che il provvedimento non è mai stato assegnato alla Camera, quindi è andato direttamente in assegnazione al Senato”.

Approvata in Consiglio dei ministri il 3 novembre scorso, la riforma costituzionale arriverà in Parlamento la prossima settimana. Ad annunciarlo è la ministra che in teoria si sta occupando della definizione del provvedimento cioè Elisabetta Casellati. “Ma perché se va in una Camera non è che poi non vada nell’altra quindi è indifferente dove comincia l’iter”, sostiene la titolare delle Riforme. “È finita l’autonomia in commissione, ormai è stata esitata quindi c’è lo spazio, non capisco perché anche questo debba dar luogo a polemiche. Se vogliamo andare a cercare sempre il pelo nell’uovo cerchiamolo, però proprio non vedo il problema”, ha proseguito Casellati. La ministra ha spiegato di essere al lavoro “sulla legge elettorale, certamente non si possono ipotizzare salti mortali per raggiungere il 55%. Quindi sto lavorando su una legge che deve coniugare i principi della governabilità e della rappresentanza, ma è ancora presto. La porrò al confronto, così come ho fatto con la riforma”. Il riferimento è al premio di maggioranza assegnato al partito o alla coalizione capace di ottenere più voti.

Sulla riforma Casellati sostiene di essere pronta a proseguire il confronto con le opposizioni, anche se con scarsa convinzione: “Mi chiedo: questo confronto a cosa ha portato? Lo dico non perché non voglio farlo, ne ho fatto una cifra della riforma costituzionale, ho ascoltato tutti ma oggi mi ritrovo che ho parlato con persone che sono rimaste sorde e a partiti rimasti sordi rispetto a quei passi all’indietro che abbiamo fatto. Noi siamo partiti, nel nostro programma elettorale, con l’elezione diretta del presidente della Repubblica e di fronte alle perplessità, abbiamo rinunciato pensando a un premierato. Confronto significa possibilità di scambio, non scrivere una norma sotto dettatura”.

Casellati ha poi smentito ogni ipotesi di dimissione del governo in caso di bocciatura della riforma al referendum costituzionale. “Perché mai? Noi abbiamo una riforma che prevede una scelta di un premier da parte dei cittadini e quindi se loro decideranno che questa legge non va bene, accetteremo il loro responso. Fa parte della democrazia”. Intanto il provvedimento comincia a perdere possibili sostenitori. Come Carlo Calenda che ha riflettuto sugli effetti del riforma: “Nella scorsa legislatura avremmo avuto Di Maio premier per 5 anni, sarebbe sopravvissuta l’Italia? Io non credo. Di Maio e i 5 Stelle dopo un anno avevano perso metà del consenso e tu non puoi blindare un governo che magari sta mandando l’Italia a sbattere. Sulle riforme bisogna ragionare con calma insieme”, è l’opinione del leader di Azione.

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