Con gli impegni di decarbonizzazione presi oggi dagli Stati del mondo, al 2030 si arriverà a un taglio di emissioni fra il 5 e il 10% rispetto al 2010, mentre l’accordo di Parigi del 2015 prevedeva un taglio del 45%. È l’allarme lanciato oggi agli Stati generali della green economy – in corso alla fiera Ecomondo di Rimini – da uno dei relatori della kermesse, Andrea Barbabella, responsabile scientifico del centro studi Italy for Climate, che ha citato dati dell’Unep, l’agenzia delle Nazioni unite per l’ambiente. Addirittura, nel 2022 – ha sottolineato – “le emissioni annue sono aumentate del 4% rispetto a quelle del 2015, l’anno dell’Accordo, invece di diminuire”.

“Il 2023 sarà l’anno più caldo della storia, nove degli ultimi dieci anni sono stati i più caldi mai registrati. Il clima è cambiato: disastri come quello dei giorni scorsi in Toscana, che una volta avvenivano una volta al decennio, ora avvengono un anno sì e uno no”, ha ricordato Barbabella. La crisi, ha aggiunto, è ormai a un punto di non ritorno, tanto che “il primo tema della prossima Cop28 di Dubai (la conferenza annuale dell’Onu sul clima, dal 30 novembre al 12 dicembre) non sarà la mitigazione, cioè la riduzione delle emissioni, ma l’adattamento alle conseguenze del cambiamento climatico”.

“L’Unep calcola che il 50% dei morti per il clima nei prossimi anni saranno in Africa, il continente che ha le responsabilità minori per le emissioni di gas serra. I Paesi in via di sviluppo avrebbero bisogno di 380 miliardi di dollari all’anno di aiuti dai Paesi ricchi per l’adattamento, ma ne ricevono solo venti miliardi“, ha detto il relatore. La buona notizia, però, è che “la transizione energetica è già in atto. Nel 2022 gli investimenti globali sull’energia pulita sono stati di 1.700 miliardi di dollari, contro mille miliardi sulle fonti fossili. Da cinque o sei anni gli investimenti sulle rinnovabili aumentano e quelli sulle fossili diminuiscono”.

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