Una scena che ricorda il ponte aereo su Berlino, l’operazione con cui gli Stati Uniti e gli alleati trasportarono cibo e altri generi di prima necessità nella Berlino Ovest circondata dai sovietici. Così la Giordania lancia ora rifornimenti di medicinali a Gaza. Lo ha annunciato lunedì mattina Re Abdullah II, tramite un post su X. “ A mezzanotte, il nostro impavido personale dell’aeronautica ha paracadutato rifornimenti di medicinali all’ospedale da campo giordano a Gaza”. E spiega: “E’ nostro dovere aiutare i nostri fratelli e sorelle feriti nella guerra a Gaza”. L’ospedale da campo giordano all’interno della Striscia è attivo fin dal 2009.

L’operazione è stata complicata. Il portavoce ufficiale del governo giordano, Muhannad Al-Mubaideen, ha chiarito che il processo di trasporto aereo di aiuti medici e farmaceutici alla struttura medica da campo non è stato processo facile: ha richiesto accordi logistici complessi. “L’ubicazione dell’ospedale da campo giordano – ha spiegato il portavoce a al Mamlaka, canale televisivo del regno – è in una area dove al momento ci sono forti scontri: questo ha reso complessa l’operazione”. Ma, ha concluso, “ciò che conta per la Giordania è alleviare il dolore della popolazione di Gaza e sostenere l’ospedale da campo”.

Ma per molti analisti, evidenzia al Arab, quotidiano arabo basato a Londra, l’operazione è stata avallata dagli americani – e israeliani – per dare l’opportunità ad Amman “di mettersi in mostra, apparendo come la salvatrice dei palestinesi”. Questa mossa – continua il giornale – , “allevierà l’imbarazzo e le tensione interne, alla luce della mobilitazione di piazza a sostegno di Gaza, da parte della popolazione giordana, gran parte della quale di origine palestinese”.

Sullo stesso tono critico è anche al Quds al Arabi: “Attraverso l’invio degli aiuti umanitari a Gaza; l’attività diplomatica e la richiesta di un cessate il fuoco, il Regno di Giordania cerca di far sentire la propria voce”. Amman, continua il giornale, che cita il quotidiano francese Le Croix, continua l’attività diplomatica a favore della soluzione dei due Stati, cercando fermare la guerra e il possibile afflusso di profughi nel territorio giordano. Secondo il quotidiano francese, citato da al Quds al Arabi, due settimane prima dello scoppio del conflitto, re Abdullah II, in visita a New York, aveva espresso dubbi sugli accordi di normalizzazione fra Israele e diversi paesi arabi, presagendo la catastrofe: “La convinzione di alcuni attori regionali – aveva affermato il Re – è che possiamo ‘paracadutarci’ in Palestina e firmare accordi con fra arabi: ma non funzionerà”.

Principale alleato della Giordania sono gli Stati Uniti che temono il prolungarsi del conflitto. “L’amministrazione del presidente americano Joe Biden teme che la guerra a Gaza si trasformi in una ‘guerra americana‘”, scrive il quotidiano panarabo al Araby El Jadeed. Questo timore, spiega il giornale, citando al Hareetz, deriva dal fatto che “Tel Aviv non ha formulato in anticipo un piano per porre fine al conflitto”. In questo senso, gli americani, schierati affianco del governo israeliano, temono di ritrovarsi invischiati nel pantano di Gaza, proprio a causa dell’incapacità di Israele di uscire dalla Striscia, anche dopo aver rovesciato il governo del movimento Hamas.

Gli americani, spiega Zvi Bar’el, autore dell’articolo sul giornale israeliano, “hanno imparato dalle esperienze dell’Afghanistan e dell’Iraq che la lunga permanenza delle forze nei paesi occupati si tramuta in un ‘danno strategico‘”. Per Bar’el la maniera in cui gli Stati Uniti affronteranno la guerra israeliana a Gaza è principalmente legata al piano di Tel Aviv nella gestione della la Striscia dopo la fine della guerra. Nessuno – conclude – può determinare con sicurezza chi “potrà assumere l’amministrazione della Striscia dopo Hamas”.

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Nella foto in alto | Il segretario di Stato Usa Antony Blinken e il ministro degli Esteri giordano Ayman Safadi

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