Figlio e padre in aula, l’uno teste dell’accusa l’altro imputato per il femminicidio della figlia. Il primo ha accusato la famiglia di aver organizzato l’eliminazione della sorella, il secondo dichiara di non averla uccisa.

Il fratello di Saman: “Ero come loro, la verità per la giustizia di mia sorella” – A tre giorni dalla prima udienza in cui ha testimoniato contro la famiglia, il fratello di Saman Abbas, la 18enne pakistana eliminata secondo i pm di Reggio Emilia, dalla famiglia perché si opponeva a un matrimonio combinato, continua a rispondere alle domande della parti. “Da quando è successa questa roba, ho tenuto tutto dentro di me, ogni giorno soffro e mi voglio liberare. La notte non riesco a dormire. In camera mia ho attaccato le foto di mia sorella e, quando le guardo – dice il giovane rispondendo a una domanda – sbatto la testa contro il muro. So che se adesso dico tutte le cose come stanno, mi libero un po’. Questa cosa me la porterò dietro tutta la vita, ma se c’è qualcosa che mi può aiutare è sfogarsi, parlando, dire le cose come sono andate e come è successo. E per la giustizia di mia sorella“.

Un racconto di sofferenza e disperazione: “Ho provato anche a farmi male, in comunità a Parma ho bevuto il profumo, non ce la facevo più, avevo troppe cose in testa” ha raccontato quando gli è stato chiesto conto di intercettazioni in cui nei mesi successivi alla scomparsa della sorella esprimeva l’intenzione di uccidersi. “Non riuscivo a portare tutte le cose con me”.

Il giovane, che all’epoca del femminicidio nel 2021 aveva 16 anni, in aula ha dichiarato di aver compiuto un percorso e sentirsi diverso. “Io sono cresciuto in quella cultura, da piccolo i miei genitori mi hanno insegnato che non si poteva fare amicizia con le ragazze, era vietato, e per questo ho mandato la foto del bacio di Saman ai miei parenti. In quel momento avevo la loro stessa mentalità, per me era una cosa sbagliata. Ma ora è tutto cambiato, da quando sono in comunità. Mi sento anche di essere italiano. Per come penso ora, hanno fatto una cosa sbagliatissima” ha detto il ragazzo rispondendo alla domanda sul perché inviò ai propri familiari la foto della sorella che baciava il fidanzato. Un gesto che, per i giudici dell’Assise che hanno dichiarato inutilizzabili le sue dichiarazioni in fase di indagine e nell’incidente probatorio, aveva innescato la reazione della famiglia. Persone che, comunque, da tempo pianificavo di eliminare la ragazza ribelle che aveva scelto di amare un altro.

Il padre di Saman: “Non l’ho uccisa” – “Non ho ucciso mia figlia, non ho mai voluto ucciderla. Ma di una cosa sono sicuro, l’omicidio è avvenuto in ambito familiare” dice Shabbar Abbas, in una pausa, ai suoi avvocati difensori Enrico Della Capanna e Simone Servillo come riporta l’Adnkronos. “

Nel corso dell’udienza si è parlato anche di una telefonata avvenuta tra lo zio e il padre di Saman dopo una perquisizione, con il sequestro dei telefoni. “Mio zio disse: ‘adesso noi scappiamo, perché ci hanno preso i telefoni, si sono accortl’. Ma papà – ha aggiunto il giovane testimone – disse ‘dovete stare lì, perché altrimenti penseranno che è davvero successo qualcosa’. Ma mio zio rispose: ‘Non possiamo stare qui, tu sei scappato in Pakistan, non hai problemi. Se prendono qualcuno, prendono noi‘”. A quel punto il ragazzino partì insieme allo zio: in bicicletta verso Gonzaga, poi in treno per Modena, quindi Como, dove passarono la notte a casa di un conoscente. Quindi in viaggio per Imperia poi si ritrovarono anche con i due cugini imputati dove furono controllati e il ragazzo, all’epoca minorenne, fu portato in Questura e poi trasferito in una comunità. Lo zio invece riuscì a lasciare l’Italia insieme ai cugini e i tre furono arrestati nei mesi successivi tra Francia e Spagna.

Nella testimonianza del fratello di Saman ritornano ancora i riferimenti ai due parenti, non imputati, che nelle intercettazioni lui stesso definisce “il cane e il cane coi baffi“. Si tratta di due parenti pachistani, Irfan e Fakhar, che frequentavano la casa di Abbas a Novellara e venivano a dare “consigli brutti” su Saman, ha ribadito il fratello, come già detto nella scorsa udienza “Per me quei parenti sono più colpevoli di Noman e Ikram, che hanno fatto questa cosa per rispetto, hanno aiutato lo zio”, ha aggiunto in un altro passaggio il 18enne, replicando alle domande dell’avvocato Liborio Cataliotti, difensore dello zio Danish Hasnain e riferendosi con Noman e Ikram a Nomanhulaq Nomanhulaq e Ikram Ijaz, i cugini imputati. Avevi motivi di rabbia verso Irfan e Fakhar? “Con Irfan sì, perché quando veniva a casa nostra guardava male mia sorella, la guardava con cattive intenzioni”.

Le violenze sulla famiglia – Il testimone ha raccontato anche del clima di paura che regnava in casa. “C’è stato un periodo in cui mio padre si ubriacava e picchiava, ci cacciava fuori da casa. Passavamo le notti al freddo. Una sera, mi ricordo benissimo siamo stati in una serra, faceva tanto freddo. Poi siamo andati in un capannone, io mia mamma e mia sorella, siamo stati chiusi dentro una macchina, mia madre usò il velo per coprire me e mio fratello, avvenne un pò di notti”. Lo ha raccontato il fratello di Saman, ricostruendo la vita familiare a Novellara. “Poi venne Ivan (Bartoli, il proprietario del terreno dove vivevano gli Abbas, ndr) e disse di chiamare i carabinieri, ma la mamma disse ‘no, finiamo sui giornali'”. “Mia sorella diceva le cose in faccia a papà, io invece ho sempre avuto paura e non sono mai riuscito. Ci sono stati molti episodi in cui papà picchiava la mamma, da quando siamo in Italia succedeva quasi sempre”. “Una sera mia madre scoprì dove mio padre nascondeva le lattine di birra, le trovò in un sacco, le prese e mio padre le corse dietro, la spinse. Lei sbatté la testa contro la terra e tutti i vestiti erano strappati. Alzava talmente le mani che distruggeva tutto. Lei stava sempre zitta, per proteggere noi”, ha continuato. A volte Saman sarebbe stata colpita, perché si metteva a difendere la mamma. Anche lo zio Danish, “da piccolo mi picchiava col bastone, in Pakistan”.

Le minacce per non farlo deporre – Al testimone era stato chiesto di non deporre e alla specifica domanda il ragazzo ha risposto: “Sì, mia zia, sorella di mia mamma, due mie cugine, una che sta in Inghilterra, la moglie di Nomanhulaq e un altro zio che è in Spagna. Mi dissero cose come: ‘tua mamma starà male, andrà in ospedale, quello che hai detto prima non conta niente’. Un giorno volevo uccidermi e ho detto che avevo davanti solo due ipotesi: morire oppure stare in carcere tutta la vita”, ha spiegato, ripercorrendo così alcune frasi intercettate, già finite agli atti dell’inchiesta. “Danish mi ha detto ‘devi dire quello che ti dico io, se no faccio fuori anche te“. Le minacce subite da parte dello zio, dopo la morte di Saman, sono state raccontate dal fratello, nel corso della sua lunga testimonianza in Corte di assise a Reggio Emilia. Il giovane ha spiegato che venne minacciato fuori dalla caserma dei carabinieri, quando furono ascoltati, prima di fuggire verso il confine in Liguria, nei primi giorni di maggio 2021. “Ogni notte che ho passato con lui – ha proseguito – avevo paura di non svegliarmi alla mattina”.

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