“Migliaia” di lavoratori palestinesi che avevano un permesso di lavoro in Israele sono stati riportati a Gaza. Ma i gruppi per i diritti umani sostengono che a loro sono stati revocati i permessi e ogni traccia del loro status è stata cancellata dai registri, lasciandoli vulnerabili e in un limbo legale. Un rimpatrio che preoccupa l’Onu: Elizabeth Throssell, portavoce dell’Alto Commissariato, durante il briefing delle Nazioni Unite a Ginevra, ha dichiarato che i lavoratori in questione “vengono rimandati indietro nonostante la gravità della situazione” nella Striscia che è sottoposta a intensi bombardamenti israeliani dopo gli attacchi del movimento islamista.

A constatare il rientro a Gaza di migliaia di persone attraverso il valico di frontiera di Kerem Shalom sono stati i giornalisti di Afp e un funzionario palestinese. “Migliaia di lavoratori che erano rimasti bloccati in Israele dal 7 ottobre”, il giorno dell’attacco di Hamas sul suolo israeliano che ha scatenato la guerra, “sono stati riportati” a Gaza, ha detto Hicham Adwan, responsabile dei valichi di frontiera di Gaza. Secondo le autorità israeliane, circa 18.500 palestinesi avevano un permesso di lavoro in Israele quando è scoppiata la guerra.

I lavoratori sono stati fatti scendere da autobus vicino a Gaza e sono entrati a piedi nel confine meridionale dell’enclave. Alcuni di coloro che sono già entrati a Gaza dicono di essere stati trattenuti a Ofer, un centro di detenzione gestito da Israele in Cisgiordania. Secondo il racconto di uno di loro al Times of Israel, Mohammed Shalaya, il trattamento è stato pessimo nei primi 5-6 giorni, ma le condizioni sono poi migliorate. Shalaya racconta di aver lavorato in una cava nel nord di Israele. Secondo la sua testimonianza, lui e gli altri lavoratori sono stati costretti a consegnare soldi, cellulari e le carte d’identità dopo essere stati detenuti e non hanno riavuto i loro beni prima di essere abbandonati vicino a Gaza.

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