Il 5 maggio scorso i giudici di Torino, che riconobbero Alex Pompa responsabile dell’omicidio del padre violento, sollevarono contestualmente un conflitto davanti alla Consulta ritenendo che la norma che vieta di bilanciare l’aggravante del vincolo di parentela con alcune attenuanti rischiasse di violare gli articoli 3 e 27 della Costituzione. E la Corte costituzionale ha fatto fa cadere il divieto assoluto di diminuire la pena in presenza di circostanze attenuanti, introdotto nel 2019 dal Codice Rosso, dando ai giudici la possibilità di valutare caso per caso. Una norma che conduceva al risultato di trattare allo stesso modo i responsabili dei più efferati femminicidi e chi ha agito in un attimo di esasperazione dopo aver subito soprusi e violenze. Come nel caso Pompa che a 18 anni uccise a coltellate il padre per proteggere la madre, e per gli altri casi giudiziari di chi, vittima di maltrattamenti, ha reagito uccidendo il familiare da cui veniva perseguitato. Saranno ora le Corti d’assise che stanno giudicando questi casi a stabilire se debba essere inflitto l’ergastolo, previsto in via generale per gli omicidi commessi nei confronti di un familiare, o una pena più mite , adeguata alla concreta gravità della condotta.

La Corte d’assise d’appello di Torino aveva sollevato l’eccezione anche in riferimento alla vicenda di Agostina Barbieri, che nel 2021 nell’alessandrino strangolò il marito dopo essere stata picchiata. Esclusa la legittima difesa, entrambi gli imputati senza l’attenuante della provocazione e quelle generiche rischiavano una condanna a 14 anni, ma ora i giudici potranno scendere sotto quella soglia. C’è anche un terzo caso giudiziario su cui la sentenza avrà un impatto diretto. Alla Consulta si era rivolta infatti anche la Corte d’assise di Cagliari che sta giudicando Paolo Randaccio, che nel 2021 uccise la moglie in un momento di esasperazione provocato dai comportamenti aggressivi della vittima, alcolista e affetta da patologie psichiatriche.

La norma dichiarata incostituzionale è l’ultimo comma dell’articolo 577 del codice penale, che vietava al giudice di dichiarare prevalenti le due attenuanti rispetto all’aggravante dei rapporti familiari tra autore e vittima dell’omicidio. Norma introdotta nell’ottica di reprimere in maniera più incisiva il fenomeno della violenza domestica. La decisione, ha sottolineato la Corte in una nota, non contraddice in alcun modo la legittima, ed anzi apprezzabile, finalità del “codice rosso” di intervenire con misure incisive, di natura preventiva e repressiva, contro il drammatico fenomeno della violenza e degli abusi commessi nell’ambito delle relazioni familiari e affettive. Tuttavia, la Corte ha evidenziato che l’assolutezza del divieto posto dal legislatore può comportare nei singoli casi risultati contraddittori rispetto a questo scopo, finendo per determinare l’applicazione di pene manifestamente eccessive in “situazioni in cui è il soggetto che ha subito per anni comportamenti aggressivi a compiere l’atto omicida, per effetto di una improvvisa perdita di autocontrollo causata dalla serie innumerevole di prevaricazioni cui era stato sottoposto”.

In conseguenza di questa decisione, le corti d’assise avranno nuovamente la possibilità di valutare caso per caso se debba essere inflitta la pena dell’ergastolo, prevista in via generale per gli omicidi commessi nei confronti di un familiare o di un convivente, ovvero debba essere applicata una pena più mite, adeguata alla concreta gravità della condotta dell’imputato e al grado della sua colpevolezza.

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