All’economia italiana non conviene rallentare la transizione green: la sola decarbonizzazione dell’economia costa 14,7 miliardi di euro all’anno fino al 2030, ma per ogni anno porta a un risparmio diretto di 6,6 miliardi, muovendo un indotto che assicura maggior entrate per lo Stato per 53 miliardi. Più di una finanziaria. Dalle case green all’economia circolare, dal ripristino degli ecosistemi fino alla decarbonizzazione nel settore elettrico e in quello dei trasporti, i benefici della transizione saranno comunque superiori ai costi. Con 123 gigawatt di nuove rinnovabili al 2030 si avrebbero 430mila nuovi posti di lavoro, la circolarità nei rifiuti porterebbe 97mila nuovi occupati e un investimento nel ripristino degli ecosistemi di 261 milioni di euro genererebbe un valore aggiunto 10 volte superiore. Lo racconta la relazione che sarà presentata alla 12esima edizione degli Stati Generali della Green Economy, che si svolgeranno a Rimini all’interno di Ecomondo il 7-8 novembre prossimo, organizzata dal Consiglio Nazionale della Green Economy, in collaborazione con il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica e la Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile (leggi l’intervista di approfondimento all’ex ministro Edo Ronchi, presidente della fondazione). Il dossier passa in rassegna diversi studi nazionali e internazionali, con diversi scenari, più o meno ambiziosi.

Dal Pacchetto Fit For 55 al Pniec, costi e benefici – Si parte da un recente studio, elaborato da Confindustria e RSE (Ricerca del Sistema Elettrico) che analizza gli impatti del pacchetto europeo “Fit for 55” in Italia. Tre gli scenari: “FF55”, con gli impatti immaginati da Bruxelles, quello ‘Confindustria’, che favorisce il tessuto industriale italiano e quello ‘Base’, che ricalca la situazione attuate, senza misure e target europei. L’attuazione delle misure Ue richiederebbe tra i 155 e i 147 miliardi di investimenti aggiuntivi nel periodo 2020-2030, rispettivamente negli scenari ‘FF55’ e ‘Confindustria’. “La differenza, distribuita nel decennio, non pare di grande rilievo” spiega la relazione, ma “rilevanti e molto positivi sono gli impatti sul sistema economico”. Rispetto ai numeri attuali, l’ambizioso scenario ‘FF55’ porterebbe 11 milioni e 484mila unità lavorative annue (Ula) in dieci anni, oltre un milione all’anno. Ma anche nello scenario ‘Confindustria’ si calcola un risparmio totale di costi energetici e legati alle emissioni di circa 66 miliardi di euro, oltre a un effetto moltiplicatore sulle attività economiche e sulle entrate del bilancio dello Stato che, nel decennio, arriverebbero a 529,5 miliardi di euro. La bozza di giugno 2023 del nuovo Pniec stima che, dal 2023-2030, occorreranno circa 217 miliardi di investimenti aggiuntivi rispetto a quanto avviene oggi, più di 27 all’anno, con una differenza di 70 miliardi rispetto allo scenario ‘Confindustria’. Ma ciò porterebbe a 13,6 miliardi di euro all’anno di maggiore valore aggiunto e 191mila occupati temporanei, impiegati nelle fasi di progettazione, installazione o realizzazione delle attività.

Con 123 gigawatt di nuove rinnovabili, 370mila occupati in più all’anno – Per il settore elettrico il recente studio La filiera italiana delle tecnologie per le energie rinnovabili e smart verso il 2030 di Enel Foundation, Elettricità Futura e Althesys prende in esame due scenari. Quello ‘Base’ con un incremento a 102 gigawatt di nuove rinnovabili al 2030 e quello ‘Desire’, che arriva a 123 GW. Considerando che nel 2023 l’Italia è a quota 61 GW, lo scenario ‘Base’ richiederebbe un aumento di 5,8 GW all’anno (con costi dal 2022 al 2030 di circa 247 miliardi), mentre lo scenario ‘Desire’ ne richiederebbe 9 (con un costo totale di 296 miliardi). Gli impatti sull’economia? Per le filiere produttive si parla di 288 miliardi nello scenario Base e di 332 miliardi con quello più avanzato, mentre ci sarebbero 370mila occupati all’anno in più nel primo caso e 430mila con politiche più ambiziose, mentre le entrate fiscali varierebbero dai 13,4 miliardi ai 15,4. In uno scenario ‘No Action’, invece, i miliardi generati sarebbero solo 94,2, i posti di lavoro nel settore 120mila e le entrate fiscali pari a 4,3 miliardi.

La decarbonizzazione di trasporti ed edifici – Nell’ambito di un sistema di condivisione degli sforzi tra i Paesi, l’Effort Sharing, al 2030 l’Italia dovrebbe tagliare le emissioni nel settore dei trasporti del 43,7% rispetto a quelle del 2005. Un recente rapporto del Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile offre un quadro, seppur incompleto, degli interventi necessari, ai quali la Fondazione per lo sviluppo sostenibile aggiunge delle considerazioni. Per esempio, sulla scarsità di risorse previste per le piste ciclabili o sulle misure per l’elettrificazione dei trasporti, che avrebbero impatti positivi, ma vengono ritenute poco realizzabili. Con gli attuali incentivi e il prezzo medio delle auto elettriche oggi a 32mila euro, infatti, è difficile pensare di vendere 7 milioni di auto elettriche nel 2030. Nel rapporto del ministero, poi, si sottolinea che tra i benefici va calcolato il valore dei danni evitati. Quelli che verrebbero causati, senza politiche di decarbonizzazione, da crisi climatica ed eventi estremi. Hanno un peso anche gli effetti espansivi degli investimenti per la mobilità sostenibile: gli interventi previsti dal Pnrr, per esempio, si stima che abbiano un effetto di espansione del Pil pari all’1,2% sul periodo 2021-2026 e dello 0,3% all’anno nel periodo 2024-2026, con effetti positivi anche di aumento dell’occupazione dello 0,2% all’anno. La decarbonizzazione dei trasporti, inoltre, contribuisce a migliorare la mobilità urbana, alla decongestione del traffico e, soprattutto, a migliorare la qualità dell’aria. Significa una riduzione delle morti premature causate dal particolato in Italia, da circa 60mila a 35mila in dieci anni, generando significativi benefici per la salute con impatti economici, stimati al 2030, in circa 30 miliardi. Anche la decarbonizzazione degli edifici porterà a dei benefici. Secondo la Commissione Ue, applicando lo scenario della nuova direttiva Case green, entro il 2030, in Europa verrebbero creati complessivamente circa 1,4 milioni di posti di lavoro a bassa e media qualificazione aggiuntivi rispetto al 2020 e altri 450mila nel segmento di lavoratori altamente qualificati.

Economia circolare – Sul fronte dell’economia circolare, la Fondazione per lo sviluppo sostenibile ha elaborato, su dati Eurostat, uno scenario ‘business as usual’ e uno più circolare. Nel primo, la quantità di rifiuti riciclati passa da 126 milioni di tonnellate nel 2021 a 141 milioni di tonnellate nel 2030 (quasi il 12% in più), raggiungendo il 77% nel 2030 e aumentano anche la produzione di rifiuti (del 4%) e il consumo interno di materiale (del 7,5%). Nello scenario più circolare, invece, diminuirebbero il consumo dei materiali (del 14,5%) e la quantità di rifiuti prodotti (meno 17 milioni di tonnellate contro un aumento di 8 milioni di tonnellate nel primo scenario), mentre aumenterebbe la quantità di rifiuti sottoposti a riciclaggio (+18%), portando il tasso di riciclo nel 2030 all’89,8%. Tutto questo farebbe diminuire la dipendenza dell’Italia dall’approvvigionamento dall’estero, con un risparmio di 82,5 miliardi di euro. Lo scenario più circolare, inoltre, comporterebbe nei settori del riciclaggio, riutilizzo, riparazione e noleggio un’offerta aggiuntiva di quasi 97mila nuovi posti di lavoro. Secondo la Commissione Ue, inoltre, la mancata adozione delle misure previste dalla proposta di riforma degli imballaggi e rifiuti di imballaggio, il costo ambientale monetizzato aumenterebbe da 5,9 miliardi euro nel 2018 a 9,4 nel 2030 e a 17,1 nel 2040.

Il ripristino degli ecosistemi – In Italia diversi studi hanno quantificato anche il valore economico dei principali servizi ecosistemici, la cui riduzione ha causato perdite ingenti. Alcuni esempi: l’incremento dell’erosione del suolo (da 11,63 a 11,69 tonnellate per ettaro) ha causato una perdita di circa 17 milioni di euro, le trasformazioni della copertura del suolo hanno ridotto la capacità di regolazione dei regimi idrologici, con perdite stimate fino a 3,8 miliardi di euro, mentre la scomparsa di vegetazione naturale ha provocato un calo di circa 2,5 milioni di tonnellate di carbonio immagazzinato, con perdite tra i 491 e i 614 milioni di euro. Secondo la valutazione che accompagna la Nature restoration law, rispetto alla media europea, l’Italia dovrebbe sostenere minori costi per il rispristino degli ecosistemi e avrebbe benefici di circa 2,4 miliardi con costi di 261 milioni.

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