Se già è difficile avere un adolescente in casa, immaginate cosa voglia dire averne due. Io, come sapete, li ho e ci sono dei momenti in cui mi fanno arrabbiare, ma molti altri (decisamente assai più numerosi, per fortuna!) nei quali mi fanno divertire parecchio. Uno di questi è quando giocano tra di loro, anche se Alberto Angela probabilmente definirebbe più correttamente quei “giochi” come scontri fra giovani maschi per l’affermazione della propria identità e la definizione del dominio sul territorio.

Mentre loro fanno finta – ma non troppo – di lottare, io e mia moglie li guardiamo divertiti e godiamo di quella splendida complicità che si è creata fra i due fratelli che noi abbiamo messo al mondo. E lo facciamo scoprendoci sovente esclusi dai loro discorsi, non per nostra o loro volontà, ma semplicemente per differenze di linguaggi; non intendo solo le parole, ma anche i riferimenti esterni alla conversazione, i gesti, a tutto quello che identifica loro come parte di una tribù. Una tribù che esclama di continuo cose come “Bro”, “Mio padreeee” (non riferendosi al genitore biologico, non fatevi ingannare!) o “flexare”. Noi non li capiamo, loro non capiscono il fatto che noi non li capiamo. Ed è tutto molto divertente, ammetto.

Ogni decennio ha la sua tribù, se ci pensate. Fra quelli che ho vissuto io, c’è stato il momento in cui la tribù si riconosceva dalle scarpe senza lacci, dai giubbotti bomber (anche ad agosto) e dalle calze a scacchi; quello in cui bastava fare un riferimento ad una battuta di Top Gun, ad un verso di una canzone degli 883 o raccogliersi alla corte di un abbronzatissimo Vittorio Salvetti sotto al palco del Festivalbar per esserne parte di un unico gruppo. Tutto ha il suo tempo, tutto cambia e ovviamente nemmeno quelle tribù durano per sempre, ma l’unica certezza che si può avere è che, quando finiranno il loro tempo, a te che ne facevi parte mancheranno tantissimo. Potrà capitare che non ci sarà alcun genere di nostalgia per una moda che ti aveva convinto che tenere il bomber anche ad agosto o viaggiare con ciuffi improbabili fosse fighissimo, ma la nostalgia canaglia (cit. Albano e Romina, tribù Sanremo. Oggi si direbbe #teamSanremo) la avrà sempre vinta se si pensa alle emozioni che ti accompagnavano in quella tribù.

Di tutto questo parla un podcast bellissimo, appena sbarcato sulle principali piattaforme audio del web che si intitola proprio “TRIBÙ”. A produrre è VOIS, ma ad averlo pensato, scritto e dal 19 ottobre anche a condurlo è Silvia Rossi, che molti di voi probabilmente conoscono come una delle tre anime de “I Trentenni” prima e de “I Trentenni #4Ever” poi. Silvia, beata lei, è nata nei primi anni ’80 e quindi ogni settimana racconterà i miti, le emozioni, la musica e lo stile degli anni ’90 – ovvero quelli della sua adolescenza – e l’influenza che quel decennio ha sul presente e sulla generazione Z.

Per me gli anni ’90 erano quelli a cavallo di due splendide tribù della mia vita, quella che lasciai una volta finito il liceo e quella in cui entrai come giovane matricola fuori sede all’Università di Siena. Che anni fantastici ragazzi; Silvia, tu comincia a raccontare che io preparo pop corn, birra e ugola per cantare a squarciagola tutte le canzoni di quegli anni e… flexare coi miei figli per fargli vedere che alla fine le tribù si parlano tutte fra loro.

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