I social creano dipendenza e danneggiano la salute mentale dei giovani. Questa l’accusa con cui 41 Stati Usa stanno facendo causa a Meta, la società proprietaria (tra le altre) di Instagram e Facebook. L’azione legale è partita da Colorado e California a seguito di indagini avviate nel 2021, ma la lista dei partecipanti alla maxi causa continua ad allungarsi. A essere contestato è il sistema di strategie con cui Meta avrebbe manipolato l’attenzione degli utenti, in particolare dei più giovani: like, condivisioni e l’utilizzo delle raccomandazioni algoritmiche che creano contenuti personalizzati e tengono incollati allo schermo migliaia di persone. Gli esperti di comunicazione le chiamano “caratteristiche manipola-dopamina” per la loro natura altamente dipendente. Una volta assuefatti dai social, spiegano gli studi indicati nelle 233 pagine di denuncia presentate alla Corte federale, l’autostima dei giovani ne soffrirebbe grandemente, con conseguenze sulla loro salute mentale che vanno dai disturbi dissociativi alla depressione.

“Meta ha impiegato tecnologie potenti senza precedenti per attirare, coinvolgere e infine intrappolare giovani e adolescenti con a movente il profitto”, si legge nelle carte dell’atto di citazione. Secondo l’accusa Meta sarebbe stata da tempo a conoscenza dei rischi dei suoi prodotti per la salute mentale, ma ne avrebbe intenzionalmente nascosto l’impatto dannoso per massimizzare i profitti, “inducendo consapevolmente bambini e adolescente verso un utilizzo compulsivo e dipendente dei social media”.

La sensibilità pubblica sui rischi dell’eccessivo utilizzo delle piattaforme social per le menti più giovani è cresciuta visibilmente negli ultimi anni. Nel 2020 il documentario Netflix The Social Dilemma ha presentato testimonianze di ex dipendenti Facebook che denunciavano le dinamiche di assuefazione potenzialmente pericolose per i giovani. Nel 2021 poi, l’ex dipendente di Meta diventato informatore pubblico, Frances Haugen, è salito agli onori della cronaca per aver condiviso documenti riservati interni all’azienda che dimostravano come Instagram aumenta l’insoddisfazione per l’immagine del proprio corpo nelle giovani donne a causa della continua esposizione e competizione con altri profili.

Pronta la risposta del colosso tech, che ha detto di avere tra i propri obiettivi “la sicurezza online” degli adolescenti. “Siamo delusi dal fatto che, invece di lavorare in modo produttivo con le aziende del settore per creare standard chiari e adeguati all’età per le numerose applicazioni utilizzate dagli adolescenti, il pubblico ministero abbia scelto questa strada”, ha dichiarato un portavoce dell’azienda. Non è la prima causa di questo tipo che Meta si trova ad affrontare. Negli scorsi mesi oltre 100 famiglie hanno denunciato big tech tra cui Meta, Snapchat, Google e ByteDance (casa madre di Tik Tok) di danneggiare i minori con i loro prodotti. La causa è ancora in corso ma quella presentata dai 41 Stati a danno di Meta si differenzia per portata.

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