Il processo a Selene Ticchi, ex esponente di Forza Nuova che indossò una t-shirt con la scritta Auschwitzland durante il raduno dei ‘nostalgici’ a Predappio, è da rifare. Lo ha deciso la Corte di Cassazione cancellando senza rinvio la sentenza di assoluzione pronunciata dal Tribunale di Forlì. La donna era a processo per violazione della legge Mancino ma, come riferisce il Resto del Carlino, secondo la Suprema Corte il fatto è diverso da come contestato dalla procura e dai giudici.

Non fu una incitazione alla discriminazione, tramite ostentazione di simboli particolari, inquadrabile come violazione della legge Mancino ma un incitamento fondato sulla negazione, sulla minimizzazione in modo grave o sull’apologia della Shoa, come da ultimo comma dell’articolo 604 bis del codice penale. A questo punto la procura di Forlì, competente per territorio, dovrà decidere se riaprire o meno un fascicolo e procedere di nuovo con altre accuse.

Il fatto risale al 28 settembre 2018 quando Ticchi si presentò alla sfilata dei nostalgici a Predappio (Forlì-Cesena) indossando la maglietta che le è costato il processo. La donna, originaria di Budrio (Bologna), vestì la maglietta, nera con un logo che scimmiottava quello della Disney e mostrava l’ingresso del campo di sterminio in Polonia, in occasione della manifestazione di cinque anni fa che richiama nel paese natale del Duce i nostalgici della marcia su Roma. L’attivista venne immortalata da foto e riprese video e finì indagata per la violazione della legge Mancino.

Con un decreto penale di condanna, la procura stabilì una pena di 9 mesi di reclusione (tramutati in multa) ma la donna decise di andare a dibattimento e lo scorso gennaio era stata assolta. Secondo le motivazioni della sentenza, il quadro istruttorio nei confronti della donna è gravemente lacunoso: nulla è stato riferito dai testimoni, neppure da quelli di polizia giudiziaria, “in ordine alla portata distintiva” e “alla genesi del logo Auschwitzland”. E “non può ritenersi abbia rilievo penale un qualsivoglia segno grafico”, ma solo quelli forniti di una certa capacità rappresentativa. Come per esempio, ricordava il giudice Marco Di Leva, il tricolore con, nella parte bianca, l’emblema del fascio littorio.

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