La Procura di Milano che indaga sul caso Visibilia e su Daniela Santanchè ha aperto un nuovo fascicolo dopo che a luglio un avvocato milanese avrebbe falsificato la firma della ministra per tentare di impadronirsi delle carte sull’indagine per falso in bilancio e concorso in bancarotta per il periodo in cui Santanchè è stata azionista di controllo e amministratrice di Visibilia, tra fornitori non pagati, bilanci in rosso e poco trasparenti, per arrivare al Tfr non liquidato agli ex dipendenti.. Un tentativo scoperto “quasi per caso”, scrive Il Giornale che ha pubblicato la notizia dell’indagine condotta dal procuratore della Repubblica Marcello Viola, dalla sua vice Laura Pedio e dal pm Maria Gravina. Da chiarire sono innanzitutto le ragioni di un episodio che si inserisce nella vicenda giudiziaria e politica nata con le indagini sul gruppo editoriale fondato da Santanché e col quale la ministra sostiene di aver interrotto ogni rapporto una volta ricevuto l’incarico di governo, mentre dalle opposizioni sono arrivate richieste di dimissioni. La nuova indagine dirà se l’operazione dell’avvocato milanese è stata fatta contro la Procura o contro la Santanché per “avvelenare le acque”, scrive il Giornale interrogandosi su possibili “manovre sotterranee” in una vicenda complicata anche dal misterioso suicidio il 5 agosto scorso del manager Luca Ruffino, che aveva rilevato il controllo di Visibilia.

La vicenda al centro del nuovo fascicolo risale a luglio, proprio quando la ministra contestava alla stampa di aver rivelato indagini secretate e delle quali, sosteneva, non era a conoscenza lei stessa. Mentre lo scontro politico si accende, ricostruisce il Giornale, la pm Gravina riceve una nuova richiesta di accesso agli atti firmata da Santanchè e ne informa Viola, che si sarebbe insospettito decidendo di confrontare la firma della ministra sulla richiesta con altre presenti negli atti di Visibilia, sicuramente autentiche. Dal confronto emerge che invece la firma sull’istanza non lo è. “A quel punto – scrive il Giornale – si passa a verificare l’indirizzo di posta elettronica da cui è partita l’istanza. É la mail di un avvocato milanese, membro di uno studio associato a pochi passi dal palazzodi Giustizia”. C’è l’ipotesi che la richiesta fosse autentica e davvero voluta dalla ministra, e che qualcuno abbia scarabocchiato la firma per accorciare i tempi. Ma sarebbe stata la ministra stessa a negare “cadendo dalle nuvole”, presentandosi una sera di inizio luglio in Tribunale come persona informata sui fatti. Disconosce la firma, dice di non conoscere l’avvocato e di non aver dato alcun incarico. Ai pm capire quale fosse l’obiettivo della richiesta presentata dal legale milanese nonostante i rischi, allegando anche copia del documento d’identità della ministra.

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