Quando Matteo Messina Denaro, il 16 gennaio scorso, fu catturato il comandante del Reparto investigativo del Ros, Lucio Arcidiacono spiegò che l’arresto era dedicato al maresciallo Filippo Salvi, morto mentre cercava di piazzare una telecamera nell’indagine dedicata alla cattura del bossi. Oggi nella caserma Manfredi Talamo di Roma, dove ha sede il Raggruppamento Operativo Speciale Carabinieri, è stata intitolata un’aula multimediale al carabiniere, Medaglia d’Oro al Valore dell’Arma dei Carabinieri “alla memoria”. Alla cerimonia hanno preso parte i familiari del carabiniere, i genitori Lorenzina Vitali e Giannino Bortolo Salvi, le sorelle Giuseppina e Francesca e il piccolo Filippo. Salvi si era arrampicato su una parete rocciosa del monte Catalfàno e precipitò accidentalmente nella scarpata sottostante, perdendo la vita a seguito del violento impatto dopo una caduta di oltre 40 metri. Era il 13 luglio del 2007, era notte e forse per questo non si accorse che il terreno sotto di lui stava cedendo.

Filippo Salvi, 36 anni, originario di Botta di Sedrina – un piccolo paese tra Bergamo e la Valle Brembana – si era arruolato proprio per quello: perché deciso a dare un contributo alla lotta contro la mafia. Una scelta di vita dettata dalla passione civile e dall’amore per la Sicilia. All’epoca non era stato possibile rivelare che il militare, nome di battaglia Ram, era nel gruppo di coloro che erano sulle invisibili tracce dell’ultimo padrino stragista. Salvi, la cui foto è presente nel reparto anticrimine di Palermo, lavorava da dieci anni nel Ros e la sua storia è ormai patrimonio dell’Arma e anche della cattura di Messina Denaro. Salvi era chiamato Ram perché era considerato uno specialista dell’informatica ed è per questo che gli è stata dedicata l’aula multimediale. Alla cerimonia erano presenti il comandante delle Unità mobili e specializzate Carabinieri “Palidoro”, generale di Corpo d’Armata Gianfranco Cavallo e il comandante del Raggruppamento, generale di Corpo d’Armata Pasquale Angelosanto.

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