A due anni dal loro ritorno al potere, i Talebani stanno stringendo sempre più il loro cappio attorno al collo della martoriata popolazione afgana. Più ambivalente è invece la situazione se si analizza l’Afghanistan dal punto di vista dei rapporti, sia regionali sia globali, che il movimento fondamentalista ha finora intrattenuto sul fronte estero. Ambivalenza legata sia all’inaffidabilità degli attuali padroni del Paese, sia ai molti fattori di interesse e instabilità che in contemporanea caratterizzano il paese asiatico.

IRAN – Appena prima dell’estate, a tenere banco è stata la disputa con l’Iran in merito alla gestione delle risorse idriche condivise tra Kabul e Teheran, legate al bacino del fiume Helmand che nasce nelle montagne afgane dell’Hindu Kush per arrivare sul territorio iraniano. Le tensioni sono sfociate anche in pesanti scontri sul confine che hanno causato la morte di almeno due guardie di frontiera iraniane e di un combattente talebano. Indiscrezioni appena emerse indicano come i Talebani abbiano dispiegato nel corso del confronto militare un considerevole contingente armato, fatto anche di attentatori suicidi ed equipaggiato con quanto lasciato sul terreno dagli statunitensi prima del loro ritiro. Negli ultimi giorni si è tornati a soffiare sul fuoco, con le autorità iraniane che stanno accusando Kabul di continuare a non rispettare gli accordi internazionali sul tema che prevederebbero una fornitura stabile di acqua da parte dell’Afghanistan all’Iran.

PAKISTAN – Anche con l’altro gigante regionale che abbraccia l’Afghanistan, questa volta da est, ossia il Pakistan, i rapporti sono attualmente tesi. A pesare in questo caso sono gli attacchi suicidi compiuti sul territorio pachistano per i quali Islamabad accusa Kabul di chiudere un occhio e di rappresentare un santuario per i gruppi estremisti. A loro volta, in un passo senza precedenti, le autorità afgane hanno iniziato a puntare il dito contro quelle del Paese confinante: pochi giorni fa il governo dei Talebani ha dichiarato che decine di militanti del gruppo Stato Islamico provenienti dal Pakistan sarebbero stati uccisi o fatti prigionieri negli ultimi mesi in Afghanistan. Uno scambio di accuse che sembra diretto più a trovare colpevoli per le rispettive incapacità di controllare il territorio nazionale che a risolvere la situazione.

KAZAKISTAN – È da nord che nelle ultime settimane sono invece arrivate buone notizie per i Talebani. A inizio agosto si è infatti tenuto in Kazakistan un business forum con l’Afghanistan che ha portato alla conclusione di accordi per oltre 200 milioni di dollari, principalmente legati a forniture alimentari da parte di imprese kazache, e all’annuncio di ambiziosi obiettivi di interscambio nei prossimi anni. Non solo, a margine è poi emerso anche come sia stata messa sul tavolo la possibilità che Kabul e Astana collaborino per facilitare le transazioni internazionali verso gli istituti bancari afgani, una mossa che sarebbe fondamentale per ridurre l’isolamento del settore finanziario locale. Al di là delle decisioni concrete prese, si tratta di un passaggio dall’importante significato simbolico di riconoscimento dei Talebani, per quanto i funzionari kazachi si siano affrettati a sottolineare la natura meramente commerciale e non politica del forum e il Kazakistan non riconosca ufficialmente l’attuale governo afgano. Nonostante le critiche emerse soprattutto sui social e l’accortezza delle altre repubbliche regionali, per l’Asia Centrale è fondamentale avere a che fare con un Afghanistan stabile, sia per evitare rischi di destabilizzazione domestici sia per garantirsi un corridoio di transito sicuro verso sud.

STATI UNITI – Un altro segnale di parziale normalizzazione è arrivato sempre a inizio agosto, questa volta da Doha. La capitale del Qatar ha infatti ospitato i primi colloqui tra Washington e Kabul, tenuti sottotraccia soprattutto da parte delle autorità statunitensi, dall’agosto 2021. I due giorni di incontri hanno visto le rispettive rappresentanze discutere soprattutto di misure tecniche per provare a dare una parvenza di stabilità alla disastrata economia afgana, di lotta agli stupefacenti e del deterioramento dei diritti umani in Afghanistan. Dopo la precipitosa e drammatica fuga di due anni fa, la riapertura di un canale di dialogo è un patto col diavolo che gli Stati Uniti devono stringere perlomeno per cercare di contribuire ad alleviare la crisi domestica afgana.

CINA E RUSSIA – Altri due attori particolarmente interessati a quanto succede in Afghanistan sono ovviamente la Cina e la Russia. La prima oscilla tra il timore dell’instabilità potenzialmente rappresentata da una Kabul guidata dai Talebani e le mire minerarie e infrastrutturali. Da quest’ultimo punto di vista, a inizio maggio Pechino e Islamabad hanno concordato di estendere, con tutti i rischi del caso, anche al territorio afgano il Corridoio Economico sino-pachistano, progetto sul quale la Repubblica Popolare ha già investito decine di miliardi di dollari. Per quanto riguarda la Russia, recentemente Mosca è stata invitata dal ministro dei Trasporti di Kabul a prendere parte al progetto per la realizzazione di una ferrovia trans-afgana, primo passo per migliorare i collegamenti interni al Paese. Difficile un impegno concreto della Federazione fino a che il Cremlino porterà avanti la guerra in Ucraina, ma, in prospettiva di un sempre più marcato riposizionamento asiatico della Russia, l’Afghanistan potrebbe risultare prezioso.

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