“Come si può immaginare che una intimidazione di stampo mafioso abbia avuto come mandante un industriale, titolare di un’azienda chimica che non ha problemi economici, un ex parlamentare, laureato in economia e commercio a Ca’ Foscari ed appartenente a una famiglia benestante della provincia vicentina? È per questo che quando mi hanno dato la notizia che l’ex senatore Alberto Filippi è accusato di aver fatto sparare cinque colpi di pistola contro casa mia, la prima reazione è stata di incredulità”. Ario Gervasutti, 60 anni, che ha diretto Il Giornale di Vicenza dal 2009 al 2016, oggi caporedattore del Gazzettino, racconta a ilfattoquotidiano.it come si è sviluppata l’inchiesta in cui è parte lesa e che ha portato alla clamorosa contestazione dei reati di associazione mafiosa, minacce, porto e detenzione illegale di armi all’ex parlamentare che fu espulso dalla Lega Nord nel 2011, passò poi alla Destra di Francesco Storace e nel 2014 a Fratelli d’Italia.

L’incubo per Gervasutti e la sua famiglia è cominciato la notte del 16 luglio 2018, nel quartiere padovano di Chiesanuova. Gli investigatori avevano capito subito che non si trattava di un gesto compiuto da un esaltato. Il giornalista aveva espresso subito una forte preoccupazione, individuando una mano criminale dietro quel gesto. Come era arrivato a quella conclusione? “Erano stati gli stessi investigatori a spiegarmi che ci trovavamo di fronte a un livello criminale elevato e che l’allarme era serio. Non aveva agito un dilettante, ma un professionista. Non si spiegava altrimenti che in una notte di pioggia, a distanza di 30 metri dalla casa, l’autore fosse stato capace di colpire con cinque colpi consecutivi, senza sbagliare, una finestra di un metro per due”. Aveva avuto dei sospetti? “Nessuno, non riuscivo a spiegarmi perché qualcuno potesse avercela con me. E anche adesso trovo ‘sorprendente’ che non vi sia una motivazione plausibile nello scegliermi come un bersaglio. Se poi penso che i contatti con l’allora senatore Filippi risalivano a otto anni prima per alcuni articoli apparsi sul giornale che dirigevo, posso dire che quelle minacce sono comparse dal… niente”.

I carabinieri avevano pensato alla sua attività professionale. “So che hanno passato al setaccio gli articoli dei dieci anni precedenti, quando ero ancora inviato del Gazzettino e poi quelli del Giornale di Vicenza. Hanno anche preso in considerazione il fatto che qualcuno volesse mandarmi un messaggio perché stavo scrivendo un libro sul dissesto della Banca Popolare di Vicenza, anche se ero nella fase di raccolta del materiale”. Il libro (Romanzo imPopolare, scritto assieme a Cristiano Gatti) fu poi pubblicato nel 2019 da Aviani Editori. La pista non era quella, bensì riguardava gli interessi di Filippi nella costruzione di un centro commerciale in alcuni terreni di sua proprietà a Montebello Vicentino, quello che venne battezzato come “il caso Cis, Centro Intermodale Servizi” che riguardava il cambio di destinazione d’uso, poi bloccato dalla Provincia di Vicenza.

“Parlai al telefono con il senatore leghista non più di tre volte, nel 2010 – continua Gervasutti – Voleva far sentire la sua versione su quello che stava emergendo e che il giornale seguiva come tante notizie di cronaca. Io incaricai un redattore di intervistarlo. Si tratta di decisioni che in una redazione vengono prese centomila volte ogni giorno”. Poi però Filippi si fece vivo, molto arrabbiato. “Dell’intervista era stato contentissimo, ma qualche tempo dopo, a seguito di altri articoli, telefonò infuriato e disse quello che tante persone dicono ai giornalisti quando non gradiscono gli articoli… Dopo di allora non lo sentii più”.

Possibile che il rancore sia covato così a lungo fino a dare mandato, otto anni dopo, a un imprenditore calabrese, Santino Mercurio, 65 anni, originario di Isola di Capo Rizzuto, in provincia di Crotone, di rubare una Fiat Punto di colore giallo e raggiungere la casa di Gervasutti per lanciargli un avvertimento di stampo mafioso? “Per me è surreale, pensando anche al ruolo istituzionale che ha avuto Filippi alla Camera e al Senato. Nel capo d’accusa si fa riferimento a solidi riscontri e so che i carabinieri hanno indagato in modo rigoroso, circoscrivendo sempre più il cerchio”. La confessione di Mercurio è l’elemento fondante dell’accusa. I pm della Direzione Distrettuale Antimafia contestano l’aggravante di aver voluto “agevolare l’attività del sodalizio mafioso, accrescendone la capacità operativa, economica e la forza di intimidazione funzionale ad assicurare le condizioni di vantaggio nel controllo del territorio da parte dell’organizzazione criminale”. Non era una banda qualsiasi, ma una propaggine della cosca Arena-Nicoscia della ‘ndrangheta, che ha operato nel nord nelle province di Verona, Brescia, Reggio Emilia e Mantova.

Ario Gervasutti ripensa a questi cinque anni di attesa e di sospetti. Qual è stata la parte peggiore della storia? “A parte la paura di quella notte e il trambusto che per almeno un anno ci ha costretti a vivere con i carabinieri sotto casa, l’aspetto più preoccupante fu che non si sapeva da dove venisse la minaccia a mano armata”.

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Nella foto in alto | A sinistra l’ex senatore Alberto Filippi, a destra il giornalista Auro Gervasutti

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