Si è registrato in provincia di Mantova il secondo caso della stagione di morte per febbre del Nilo. Si tratta di un anziano deceduto in ospedale nella giornata del 5 agosto, dopo il primo caso di fine luglio avvenuto sempre in Lombardia.

Un nuovo caso di infezione si registra anche in Sardegna, ma le condizioni dell’uomo sono sotto controllo, come riferiscono i sanitari dell’ospedale di Sassari. “Le condizioni del settantaduenne di Siamanna sono mediocri ed è monitorato costantemente da tutta l’equipe del reparto dell’ospedale sassarese”, fa sapere Maria Valentina Marras, direttrice del Servizio di Igiene e Sanità Pubblica della Asl 5. Il 72enne è stato inizialmente ricoverato con febbre alta all’ospedale di Oristano, poi, una volta confermata la diagnosi di febbre del Nilo, è stato trasferito al reparto malattie infettive a Sassari. Già a luglio nel comune di Solarussa (Oristano) erano risultate positive alcune zanzare e due cornacchie, abbattute da un cacciatore.

Secondo gli ultimi dati dell’Istituto superiore di sanità, aggiornati al 2 agosto dunque privi degli ultimi due casi, sono 25 i casi confermati di infezione da febbre del Nilo. Nel bollettino precedente, aggiornato al 26 luglio, i casi erano 6. Come ha informato l’Istituto, attualmente non esiste un vaccino contro questo virus e, benché gli studi stiano progredendo, per il momento l’unico vero strumento preventivo è cercare di evitare l’esposizione alle punture di zanzare. Dal momento della puntura infetta, il periodo di incubazione può essere compreso tra i 2 e 14 giorni, ma può anche essere più lungo, fino a 21 giorni. Sono molto frequenti i casi asintomatici, che riguardano la maggior parte delle persone infette. Circa il 20% dei sintomatici presenta febbre, mal di testa, nausea, vomito, linfonodi ingrossati e manifestazioni cutanee. In media, solo 1 persona su 150 (l’1% delle persone infette) manifesta sintomi gravi come febbre alta, tremori, convulsioni, fino ad arrivare alla paralisi e al coma. Alcuni effetti neurologici possono inoltre essere permanenti. Nei casi più gravi (circa 1 su mille) il virus può causare un’encefalite letale.

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