Infine alla Camera arrivò il giorno delle sneakers e gli onorevoli si occuparono del “decoro”. Inteso come abbigliamento appropriato all’Istituzione, non certo come decoroso esercizio della funzione parlamentare. Tradotto altrimenti: ieri a Montecitorio si è litigato su cravatte, magliette e scarpe da ginnastica.

Il merito, diciamo, è del deputato Salvatore Caiata, ex grillino approdato in Parlamento per fulgida intuizione di Luigi Di Maio: correva l’anno 2018, all’epoca era il vulcanico presidente del Potenza calcio, famoso per lo zainetto sempre in spalla. Indagato e cacciato dal M5S, Caiata è salito lesto sul carro di Giorgia Meloni e oggi sulle sue spalle grava – invece – una richiesta di rinvio a giudizio per un’inchiesta su presunti riciclaggi e reati tributari a Siena.

L’ottimo Caiata è il firmatario di un ordine del giorno – poi accorpato a quello quasi identico della collega centrista Martina Semenzato – che imporrebbe agli eletti un dress code opportuno, da codificare attraverso un apposito regolamento dell’ufficio di presidenza. Il testo portato a Montecitorio, peraltro, è il prodotto di una mediazione rispetto alla prima versione più rigida e specifica, che condannava esplicitamente le scarpe da tennis e imponeva l’obbligo di cravatta ai colleghi (ad oggi vige solo al Senato). Per qualcuno era una norma ad personam contro Elly Schlein, che malgrado i profumati consigli dell’amica armocromista continua a prediligere un look informale e talvolta alla Camera arriva in comode sneakers. Nella nuova formulazione, un po’ democristiana, Caiata non mette all’indice alcun indumento specifico, ma si limita alla generica richiesta di un abbigliamento “consono alle esigenze di rispetto della dignità e del decoro dell’Istituzione”. La seconda versione più blanda non è bastata a evitare che maggioranza e opposizione si dividessero comunque: il dibattito parlamentare sulle scarpe basse ha regalato momenti di lirismo assoluto, alternati a brevi squarci di realtà e di senso del ridicolo.

Caiata è, a suo modo, animato da spirito ecologista: “Quest’ordine del giorno – declama – è esclusivamente volto a dare rispetto e tutela a questo ambiente”. Quasi un Caiata Thunberg. I Cinque Stelle però non ci stanno, il decoro – sostengono seriosi – non c’entra con le scarpe basse: “Gli italiani soffrono per andare a fare la spesa – arringa Riccardo Ricciardi – e nell’altro ramo del Parlamento si vogliono reintrodurre i vitalizi, non è questa una perdita di credibilità e di decoro per le istituzioni?”. In presidenza c’è il forzista Giorgio Mulè, che prova a interrompere il grillino con un tocco di classe: “Onorevole Ricciardi, mi scusi, capisco il suo cappello, ma non può diventare un sombrero, perché poi andiamo fuori tema”. Ma ormai i banchi di destra rumoreggiano, il clima si surriscalda. Il bersaniano Federico Fornaro minaccia di togliersi la giacca, Mulè lo implora di ripensarci: “No, no! Non lo faccia! Magari poi qualcuno apprezza”. Ma Fornaro non si denuda, la sua era solo una provocazione: “Non lo faccio per rispetto ai colleghi, ma se io mi togliessi la giacca lei mi richiamerebbe. E questo perché le disposizioni sull’abbigliamento esistono già. Sono basito, cosa stiamo per votare?”.

Si procede a briglia sciolta. La leghista Simonetta Matone è stentorea, categorica: “Se è vero che per prassi gli uomini entrano con la giacca, ritengo irrispettoso venire qui in abbigliamenti da spiaggia, mi riferisco alle donne, e in abbigliamenti sportivi, come le scarpe da ginnastica. Noi non stiamo facendo footing, votiamo ed esprimiamo quello che gli elettori ci hanno chiesto di esprimere”. La vetta retorica però appartiene a Benedetto Della Vedova di +Europa, che si infila in una dotta, vagamente lisergica dissertazione sul cambio di status di certe sneakers: “Il termine ‘scarpe da ginnastica’ è anche un po’ démodé, nel senso che nel frattempo la calzatura, cosiddetta da ginnastica, si è un po’ evoluta”. Non tutti i piedi fasciati in scarpe da tennis appartengono a lanzichenecchi. Della Vedova poi è di parte: “Devo pure difendere il presidente del mio gruppo, Manfred Schullian, che notoriamente e abitualmente indossa un abbigliamento molto casual, con le scarpe da ginnastica. Ma sempre con la giacca”.

È in quel momento che Ettore Rosato (Italia Viva) non ci vede più. Con garbo, prende la parola per instillare ai colleghi il dubbio che di dress code si sia parlato anche troppo: “Suggerisco, in punta di piedi, di ricalibrare la nostra discussione perché in questi giorni di questioni importanti ne abbiamo molte. Discutere in quest’aula di questi temi non fa bene al Parlamento, non fa bene alle istituzioni. Io rimanderei all’ufficio di presidenza”.

Ultimo atto, si vota: ordine del giorno approvato; delle scarpe ora si occuperanno i questori.

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