Mi rendo conto che a parlare in termini di capitalismo e lotta di classe si rischia di apparire a guisa di un residuato del secolo scorso. Tuttavia, ormai al di fuori di ideologie che si erano irrigidite e schematizzate ben oltre il consentito, il discorso si rivela più attuale che mai.

Cerco di dimostrare questa attualità con la massima semplicità e chiarezza, partendo dalle parole che Ralf Dahrendorf pronunciava nella metà del Novecento per criticare il “dogma” marxiano della lotta di classe. Stando al sociologo tedesco, ormai “l’attribuzione delle posizioni sociali è divenuta sempre più una prerogativa del sistema di istruzione”. Tradotto, il potere economico ha perso ogni peso e gli individui raggiungono determinate posizioni in base agli studi svolti e ai meriti acquisiti sul campo.

Ecco, è sufficiente gettare lo sguardo sulla classe politica italiana per capire che le cose non stanno così. Scarso senso istituzionale, ignoranza della storia e delle lingue, impreparazione economica e amministrativa (si veda il disastro dell’attuale governo sul Pnrr, che dio soltanto sa quanto potrà costarci in termini socio-economici), irresponsabilità rispetto alle dichiarazioni e ai comportamenti tenuti da soggetti tutt’altro che onorevoli sembrano essere le caratteristiche preponderanti degli elementi che compongono lo scenario governativo e politico in genere. Se merito, competenza e preparazione scolastica dovevano aver segnato la fine della lotta di classe, stando alle considerazioni di Darendhorf, direi che non si può parlare di alcuna fine. Famiglie ricche o comunque influenti continuano a fare il bello e il cattivo tempo, imponendo figli, parenti, amanti o tutt’al più coscritti nei ruoli più delicati e remunerativi della macchina politico-amministrativa. Con risultati perlopiù disastrosi, considerato che si parla di persone mediamente non solo all’oscuro delle problematiche popolari, ma anche incapaci di affrontarle.

Qui arrivo alle parole con cui stavolta un filosofo e sociologo tedesco, Jurgen Habermas, alla fine del Novecento proclamava l’inattualità della lotta di classe sostenendo che era sotto gli occhi tutti la “pacificazione del conflitto di classe da parte dello Stato sociale”. Ora prescindendo dal fatto che le conquiste rispetto alla giustizia sociale erano state ottenute proprio grazie alla lotta di classe – perché il capitalismo non contiene di suo tale prerogativa, manifestandosi piuttosto come un sistema di concorrenzialità assoluta e allergico alle intrusioni dei governi e delle leggi – anche in questo caso basta osservare la realtà attuale italiana per comprendere che i conti non tornano.

Siamo infatti di fronte a un governo che, non pago dei disastri sul Pnrr e su tante promesse inevase (vedi l’abolizione delle accise sui carburanti) che produrranno danni socio-economici incalcolabili, abolisce all’improvviso e senza alcun piano alternativo il reddito di cittadinanza. Ossia, getta un milione di persone nella povertà assoluta proprio mentre aumenta bonus, stipendi e ferie dei parlamentari e senatori, molti dei quali forniti dell’incompetenza e inadeguatezza di cui sopra. A scanso di equivoci, riferendosi al Pd pre-schleiniano e ad alcuni grandi giornali che giustamente si indignano per l’abolizione del reddito di cittadinanza, andrebbe ricordato che l’attuale governo ha avuto gioco ancora più facile in questa mossa scellerata grazie alle molteplici posizioni dei parlamentari e agli editoriali in cui si denunciava la vergogna di fornire assistenza a coloro che “se ne stanno comodi sul divano”.

Insomma, non voler vedere la lotta di classe che monta pericolosamente alla base della società significa non vedere che siamo ripiombati in un’epoca di profonde disuguaglianze e disparità, di privilegi e mortificazione del merito e delle capacità acquisite con lo studio (l’unica alternativa all’attribuzione di posti di lavoro in base ad altri criteri assai meno nobili). Non si tratta di ritirare fuori un comunismo ormai anacronistico e inadeguato al tempo attuale, né di ripiombare nello scontro ideologico che ha caratterizzato il Novecento.

Si tratta, invece, di elaborare una nuova progettualità politica per salvare le nostre società da conflitti sociali che potrebbero rivelarsi distruttivi. Perché già nel 2006 il plurimiliardario americano Warren Buffett aveva ammesso che “certo, esiste la guerra di classe, ma la stiamo vincendo noi ricchi”. È appena il caso di ricordare che l’ultima volta in cui la classe capitalista stravinse la lotta di classe senza una forza progressista a contrastarla con un programma serio e credibile, di lì a breve scoppiò la Seconda guerra mondiale.

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