Quanto pesa il magistero di Francesco e la dottrina sociale della Chiesa tra i dirigenti cattolici e postdemocristiani del Pd? In altre parole, lasciando da parte l’aspetto strettamente personale della fede, la domanda riguarda che cosa qualifichi dal punto di vista culturale e politico quei quadri piddini che i media generalmente definiscono “cattolici”.

E’ una domanda che acquista rilievo in vista dell’imminente assemblea convocata per la settimana prossima da Stefano Bonaccini per riunire la cosiddetta area riformista, in cui milita un gran numero di esponenti etichettati come cattolici. Vi parlerà anche Romano Prodi.

“Europa, radici e identità” è il titolo di una interessante conferenza che mons. Rino Fisichella, pro-prefetto del Dicastero vaticano per l’Evangelizzazione, ha tenuto recentemente nella sede dell’ufficio romano del Parlamento europeo per iniziativa dell’Istituto universitario di studi europei. Durante l’esposizione Fisichella ha espresso un appassionato richiamo all’attualità del pensiero di Alcide De Gasperi. Un invito a misurarsi nuovamente con l’eredità primaria portata dal cristianesimo: l’aver posto al centro la persona umana nell’interrelazione con altre persone di cui riconoscere fino in fondo dignità e libertà. Un pungolo a far rivivere l’etica ed elaborare un “nuovo modello culturale”, scongiurando che il mercato lasciato a se stesso schiacci conquiste secolari. Evitando di cadere nella tentazione di considerare i diritti soltanto nella loro dimensione individualistica.

Al contrario, ha sostenuto Fisichella, “diritti, giustizia sociale, coesione e senso di responsabilità” devono marciare di pari passo. E in questa prospettiva non si può non rilanciare la costruzione di un’Europa, chiamata all’unità nel mantenimento delle proprie tradizioni particolari.

“Solo gli europei – ha scandito l’esponente della Curia, collaboratore di papa Francesco – hanno una visione umanistica globale. Solo l’Europa, non gli Stati Uniti o altri Paesi!”. In prima fila, tra il pubblico, c’era ad ascoltarlo Lorenzo Guerini, già ministro della Difesa e attuale presidente del Copasir, un cattolico esponente di spicco della corrente riformista del Pd, di cui è stato vicesegretario. Finite le strette di mano e i complimenti, svuotatasi la sala, emergeva plasticamente l’interrogativo: quanto di questi stimoli passi davvero nell’area cosiddetta cattolica del Pd, quanto diventi carne viva dell’azione e della proposta politica.

In realtà dei cosiddetti cattolici piddini si sente parlare soltanto se uno di loro – diciamo Beppe Fioroni o Enrico Borghi – abbandona il partito e se ne va altrove. C’è da domandarsi però in che cosa consista la “cattolicità politica” di esponenti del genere. Perché quando si parla delle aree culturali che hanno dato vita al Partito democratico non si parla dell’incontro della tradizione laico-progressista e del movimento riformatore di tradizione socialista o del Pci con una generica prassi democristiana: bensì con la tradizione del cattolicesimo sociale e del cattolicesimo democratico. Sono cose ben distinte.

Un primo punto. Di fronte alla drammatica situazione della guerra in Ucraina non si sente una voce, non si percepisce un’idea farsi strada nell’area dei cosiddetti cattolici riformisti del Pd. Il cessate il fuoco, auspicato dal Vaticano, gli sforzi della missione del cardinale Zuppi, non sembrano stimolare nessuna riflessione. La razionalità di dire no a un ingresso immediato di Kiev nella Nato rimane prerogativa del presidente Biden. La riflessione se sia addirittura opportuno che l’Ucraina entri nel patto atlantico – in una prospettiva futura di rapporti da riallacciare con Mosca, una volta garantita la sovranità dell’Ucraina – resta appannaggio del dibattito che negli Stati Uniti si svolge pubblicamente tra gli esperti con una libertà che in Italia manca totalmente.

E’ possibile che, in Italia, testimone di una robusta tradizione diplomatica in Moro e Andreotti – tanto per citarne alcuni – i “cattolici” piddini si affidino solo allo schema semplicistico, per cui bisogna spingere la Cina a mettere in ginocchio la Russia in modo che l’Occidente possa poi mostrare i muscoli nella nuova guerra fredda con Pechino?

Mentre l’Alleanza atlantica sta ri-orientando il suo raggio di azione, spostandosi dall’Europa verso lo scenario Indo-Pacifico, Papa Francesco ha proposto che i principali protagonisti mondiali, vecchi e nuovi, si mettano insieme a concordare le regole per la convivenza internazionale nel XXI secolo: una nuova conferenza di Helsinki a livello planetario. Silenzio assoluto negli ambienti cosiddetti cattolici del Pd. Nessuno ha il coraggio di dichiarare che Francesco sia uno sprovveduto (ed è difficile alla luce del lavoro secolare della diplomazia vaticana) e al tempo stesso nessuno ha il coraggio di aprire la discussione sul ruolo dell’Italia e dell’Unione europea nel gettare le basi di aggiornati equilibri mondiali.

La stessa passività si registra rispetto alle disuguaglianze intollerabili presenti nella società italiana. Lo stesso governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, si è schierato per l’introduzione di un salario minimo. Sulle pagine di Avvenire, il giornale dei vescovi italiani, l’autore del rapporto Ocse sull’Impiego 2023, Andrea Garnero, spiega l’urgenza di sperimentare il salario minimo nei comparti dove stanno i “lavoratori deboli” non coperti da contratti. E’ noto che la Cisl è contraria, pur essendo incapace di indicare come la contrattazione possa essere estesa di punto in bianco a tutti i settori. Nel frattempo silenzio totale negli ambienti cosiddetti cattolico-riformisti del Pd.

Persino rispetto al tema dell’immigrazione, dove la Comunità di Sant’Egidio e tanto volontariato cattolico e laico sono all’azione, i dirigenti “cattolici” piddini non sono all’avanguardia di iniziative politiche. Sorge allora il sospetto che l’autodefinita area cattolico-riformista del partito sia piuttosto una corrente dorotea verniciata di tocchi blairiani fuori tempo. Se non fosse che i dorotei allignano anche in correnti di altra provenienza.

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