Una battaglia contro la discriminazione sociale, per far sì che tutti possano vivere senza sentirsi malati per sempre. Dopo anni di campagne di sensibilizzazione e petizioni, la legge sull’oblio oncologico sta finalmente arrivando in Aula. Il testo, ora in discussione in commissione Affari sociali alla Camera, permetterà alle oltre 900mila persone guarite dal cancro in Italia di non dover più essere costrette a ricordare eternamente la loro malattia e di non subire conseguenze pratiche. Chi ha trattato e curato un tumore non dovrà più riferire la propria cartella clinica per accedere a prestiti, richiedere un mutuo, stipulare un’assicurazione, partecipare a concorsi o adottare un bambino. La guarigione clinica corrisponderà effettivamente a quella giuridica, come avviene già in cinque Paesi europei: Francia, Lussemburgo, Olanda, Belgio e Portogallo. Mentre in Spagna il premier Pedro Sanchez ha annunciato circa un mese fa l’intenzione di intervenire.

Il testo unificato, al vaglio in Commissione, è il frutto di un’elaborazione delle relatrici Patrizia Marrocco di Forza Italia e Maria Elena Boschi di Italia Viva, sulla base di dieci progetti di legge presentati da diversi gruppi parlamentari e dal Cnel. Prevede che, per accedere a determinati servizi, non sia più necessario fornire informazioni sul proprio stato di salute una volta trascorsi dieci anni dalla fine del trattamento di patologie neoplastiche, senza episodi di recidiva. Il periodo si riduce a cinque anni nel caso in cui il tumore sia insorto entro il ventunesimo anno di età. Passato questo tempo, spiegano gli esperti, le persone hanno di fatto la stessa aspettativa di vita di coloro che non hanno dovuto mai affrontare una malattia oncologica. Nonostante questo, a oggi, la vita di tutti i giorni e il futuro di questi cittadini vengono ingiustamente limitati, anche a quindici o venti anni dalla guarigione. Una forma di disabilità sociale invisibile che riduce la qualità della vita.

Il testo potrebbe arrivare in Aula già la prima settimana di luglio. L’accordo bipartisan tra governo e opposizioni punta a far sì che la legge possa essere approvata rapidamente, come dichiarato dalla stessa presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. “Finché la legge non sarà approvata e soprattutto recepita e applicata da tutti i soggetti in causa, non canteremo vittoria. Ma si tratta di un riconoscimento importante del lavoro fatto negli anni, dal basso, dalle associazioni dei pazienti”, commenta a ilfattoquotidiano.it Elisabetta Iannelli, segretaria generale di Favo, la Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato In Oncologia. “È un buon testo, è innovativo – continua Iannelli -. Permette all’Italia di fare un salto in avanti anche rispetto agli altri paesi europei, poiché interviene anche sul tema delle discriminazioni sul lavoro. C’è un’indicazione forte a valorizzare le competenze e la professionalità di chi ha attraversato una malattia oncologica”.

È un messaggio di speranza forte per chi riceve una diagnosi. Avere una patologia non significa smettere di vivere, l’aspettativa di vita è molto aumentata negli ultimi anni. È fondamentale che ai passi avanti fatti nella prevenzione e nella cura corrisponda la possibilità di una piena “guarigione sociale” dei pazienti, spiega Iannelli. Perché possano vivere pienamente la loro vita, al centro della società e non ai margini di essa.

“La malattia è difficile da togliere dalla testa di chi l’ha avuta, ma questo fa parte della storia personale di un individuo. Non deve condizionare il suo rapporto con la società e le istituzioni”, aggiunge Antonella Campana, rappresentante di IncontraDonna Onlus e vicepresidente della Fondazione Aiom. Per questo, il diritto all’oblio oncologico, oltre a essere una battaglia per le condizioni materiali dei cittadini, è anche una sfida culturale per il Paese. “È importantissimo eliminare gli stereotipi che sono stati creati”, spiega Campana. Esistono tumori che possono essere risolti con cure brevi, di pochi mesi. Per alcuni ci vogliono anni. Altri ancora possono essere cronicizzati e garantiscono una qualità di vita molto simile a quella di chi non è malato.

“Dobbiamo smettere di associare il termine “cancro” al concetto di male incurabile, è possibile superare questo stereotipo”, conferma Campana. E per cambiare la memoria culturale di un paese, il primo passo è il linguaggio. Associare termini bellicisti alle patologie neoplastiche contribuisce a rafforzare l’immagine del male incurabile. È necessario superare la metafora de “il guerriero che combatte il tumore”, spiega Campana, e conclude: “Non esiste un malato vincitore e uno sconfitto. Il diritto all’oblio oncologico è fondamentale perché porterà come vantaggio anche quello di favorire questo cambiamento culturale”.

Immagine dal sito di Fondazione Aiom

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