Con la guerra che dura da oltre un anno, il tentato golpe di Evgeny Prigozhin ha posto per la prima volta il problema della tenuta della coesione interna in Russia. “Tutto sta a vedere come reagiranno i soldati. Dovesse venire meno la loro motivazione, verrebbe a mancare il principale punto di forza dei russi sul fronte ucraino”, riflette Luca Steinmann, reporter di guerra, autore del libro “Il Fronte Russo” (Rizzoli, 2023), tra i pochi testimoni che seguono il conflitto ucraino dal fronte russo.

Steinmann, che peso avrà quanto accaduto in Russia?

Dal punto di vista simbolico è la rottura di un tabù. Il potere a Mosca è la gestione delle oligarchie, tenerle una spanna sotto Putin. E nella storia del putinismo non era mai successo che una di queste sfidasse apertamente il Cremlino, un affronto che non ha precedenti. Quanto accaduto mostra come la guerra in Ucraina sta cambiando gli equilibri interni al potere in Russia, perché da molti gruppi il conflitto viene ormai percepito come uno strumento per regolare i conti interni, anche politici. Attenzione: non vuol dire che siamo a un passo dalla disgregazione, anzi. Ma se l’Operazione speciale fosse andata diversamente o non ci fosse stata, difficilmente il Cremlino si sarebbe trovato nella posizione di dover legittimare il proprio potere di fronte a figure che prima gli erano assolutamente subordinate. Chi di questi prima d’ora, Prigozhin compreso, si sarebbe permesso di sfidare lo zar? Invece il Cremlino si è trovato ad agire perché la coesione interna al Paese non venisse minata.

Con quali ricadute sui soldati al fronte?

Sui campi di battaglia ho quasi sempre incontrato persone molto motivate. “Non possiamo perdere – mi dicevano – perché in questa guerra la Russia si gioca l’osso del collo e l’Occidente ha l’obiettivo di frammentarci”. Questa la grande motivazione nell’esercito. Ma se il rischio di frammentazione viene dall’interno, come mai era accaduto prima, sarà importante come i soldati risponderanno. La soluzione trovata ha sicuramente permesso a tutti di tirare un sospiro di sollievo, miliziani della Wagner compresi.

Li ha incontrati al fronte, così come i soldati dell’esercito.

Nella Wagner la maggior parte sono ex soldati regolari passati al settore privato. Ma sentivano di promuovere gli stessi interessi della Russia, anche se con paga e attrezzature migliori, con una loro intelligence, indipendenti in tutto e per tutto. Ricordo bene quello che mi dicevano: “Non rispondiamo a loro, non c’entriamo niente col ministero della Difesa”. La leadership carismatica di Prigozhin, un eroe per i suoi soldati, li ha fatti sentire una élite, ma anche patrioti che difendono gli interessi della Federazione meglio di quanto non faccia l’esercito regolare. La mia impressione è di aver sempre avuto a che fare sì con dei professionisti, ma che hanno combattuto in tutto il mondo per gli interessi della Russia, con una forte dose di patriottismo, con le bandiere della Fedrazione issate sui carri armati. Tutta la società russa e loro stessi sarebbero andati verso uno choc se l’iniziativa di Prigozhin fosse sfociata davvero in una guerra civile. Non a caso Putin stesso ha sempre distinto Prigozhin dalla Wagner. E così nella soluzione trovata, con Mosca che non perdona il tradimento ma riconosce i meriti di guerra a chi ha combattuto, compresa la via d’uscita bielorussa per chi rimarrà con Prigozhin. Da capire se dall’esilio rimarrà un attore, anche politico, o se si tratta di un buen retiro, magari per salvarsi la vita.

A Rostov un ruolo l’hanno giocato anche i ceceni del presidente Ramzan Kadyrov.

L’Operazione speciale sta facendo emergere modelli di successo molto popolari che potrebbero essere emulati. Ma possono trasformarsi in altri, potenziali elementi di destabilizzazione. Quello di Kadyrov è un altro esercito privato, ma in più fa riferimento a un popolo distinto da quello russo. Sul fronte russo, ad oggi Kadyrov è di sicuro uno dei vincitori dell’Operazione speciale. Il ministero della Difesa russo si era sempre rifiutato di dare armi pesanti a un popolo col quale si è scontrato fino a pochi anni fa. Da ieri queste remore sono cadute e abbiamo visto file di carri armati verso Rostov con le bandiere cecene. Chi avrebbe mai pensato che il Cremlino si sarebbe rivolto ai ceceni per difendersi da altri russi? Per i russi della mia generazione è da non credere: il ceceno era il cattivo e di colpo diventa il buono. Se le forze speciali di Kadyrov avessero combattuto casa per casa contro Wagner sarebbe stato uno choc difficilmente recuperabile.

Cambia qualcosa per gli esiti della guerra?

Il sollevamento di Prigozhin è avvenuto in un momento in cui la controffensiva ucraina non stava andando come pronosticato. In qualche modo c’era da aspettarselo. La linea di contatto è ferma da mesi e almeno da novembre i russi si stanno attrezzando nell’attesa di questa controffensiva, creando enormi linee di difesa per chilometri e chilometri: trincee, fortificazioni, cavalli di Frisia, sacchi di sabbia. L’Ucraina avrebbe bisogno di un altissimo numero di uomini per sfondare queste linee e sono sempre stato molto scettico. Per farlo ci voleva un elmento nuovo e dirompente: nuove armi, l’ingresso in campo di un nuovo esercito al fianco di quello ucraino. La conflittualità interna alla Russia può essere questo elemento? Forse, ma sarei cauto a parlare di disfacimento del fronte interno russo. La steppa ucraina è una landa piatta, senza possibilità di attacchi da punti privilegiati, uomo contro uomo, trincea contro trincea: ci vogliono tanti uomini. Proprio quello che manca all’Ucraina. Certo, la motivazione mostrata finora dai soldati russi non è secondaria e se dovesse risentire di quanto successo verrebbe meno il principale punto di forza dei russi. Ma non è detto che avvenga. E se Putin riesce a tenere l’esercito e le sue posizioni, il piano ucraino resta molto ambizioso.

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