Assente per un totale di 20 anni su 24 anni di servizio come professoressa di storia e filosofia alla scuola secondaria è stata destituita dopo una lunga battaglia legale da parte del ministero dell’Istruzione. Non solo assenze prolungatissime, ma anche una condotta non in linea con i principi standard di insegnamento. Nei soli quattro mesi di fila in cui si era dedicata alla classe aveva provoca le lamentele degli studenti per la sua “impreparazione”, la “casualità” nell’assegnazione dei voti, il presentarsi senza i libri di testo. Era scattata così l’ispezione ministeriale che definiva “incompatibili con l’insegnamento” le sue modalità di fare lezione.

Già nel 2013 era stato eseguito un monitoraggio da parte di tre ispettrici del ministero dell’Istruzione nei confronti della docente di Filosofia, segnalata dal dirigente della scuola secondaria di Chioggia in cui prestava servizio per “evidenti disattenzioni nei confronti degli alunni”, tra le quali un “uso continuo del cellulare con messaggistica”. Il monitoraggio svolto dal Miur si era concluso con un “concorde giudizio” sulla “assenza di criteri sostenibili nell’attribuire voti, la non chiarezza e confusione nelle spiegazioni, l’improvvisazione, la lettura pedissequa del libro di testo preso in prestito dall’alunno, l’assenza di filo logico nella sequenza delle lezioni, l’attribuzione di voti in modo estemporaneo ed umorale, la pessima modalità di organizzazione e predisposizione delle verifiche”. Tuttavia, al processo di primo grado nel 2018, i giudici avevano ritenuto illegittimo il provvedimento di destituzione, in quanto, nonostante “la disorganizzazione e faciloneria” della docente, l’ispezione di tre giorni rappresentava un periodo di osservazione “troppo breve” per certificare “una inettitudine assoluta e permanente”.

Nel 2021, la Corte di Appello di Venezia aveva poi ribaltato la sentenza sancendo il provvedimento di destituzione, ora confermato dalla Cassazione. La sezione Lavoro ha infatti respinto il ricorso che la professoressa aveva intentato contro il ministero appellandosi al principio dell’autonomia didattica. I giudici hanno infatti chiarito che il principio di autonomia deve essere diretto e funzionale a una piena formazione della personalità degli alunni, titolari di un vero e proprio diritto allo studio. Il principio di autonomia dell’insegnante: “Non è dunque libertà fine a sé stessa” affermano i giudici nel verdetto. Esso, proseguono “comprende certo una autonomia nella scelta di metodi appropriati di insegnamento” ma questo “non significa che l’insegnante possa non attuare alcun metodo o che possa non organizzare e non strutturare le lezioni“.

Trovano quindi conferma le accuse formulate dal Miur, tra le quali la “scarsa cura delle lezioni”, visto anche che “non aveva il libro di testo che prendeva in prestito temporaneo dagli alunni”, oltre alle “gravi imprecisioni nel redigere i programmi finali”, con la dichiarazione di un programma ed un numero di ore diversi da quelli effettivamente svolti, e riferimenti ad argomenti in realtà mai trattati in classe.

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