Nei primi anni Duemila, quando il videogioco manageriale calcistico Football Manager si chiamava ancora Scudetto e non esisteva alcun editor per costruirsi la propria rosa preferita in partenza, esisteva un trucco per sistemare le finanze. Bastava creare un allenatore fittizio a partita in corso, metterlo a capo di una squadra facoltosa, effettuare la operazioni desiderate per poi farlo dimettere e ritirarsi dal calcio. In Inghilterra il Chelsea è accusato di fare lo stesso giochetto, ovviamente in maniera più articolata, scaltra e complessa rispetto al gioco targato Sports Interactive. Soprattutto, sempre ai confini delle regole, abile nel trovare ogni piega, ogni zona grigia nel sistema normativo che regola i trasferimenti nel mondo del calcio. Lo aveva già fatto a gennaio spendendo la cifra record di 369 milioni di euro sul mercato e poi diluendo la quota di trasferimento a bilancio dei nuovi arrivi con contratti di 7-8 anni e mezzo, beneficiando dell’introduzione tardiva, e non retroattiva (partirà dalla prossima stagione), da parte della Uefa del divieto di spalmare tale costi per più di cinque esercizi finanziari.

Il nuovo caso borderline dei Blues riguarda gli affari di mercato con l’Arabia Saudita, paese entrato prepotentemente nel panorama calcistico internazionale nell’ultimo anno, prima attraverso l’acquisto del Newcastle, quindi con una munifica campagna acquisti che sta interessando le principali squadre del proprio campionato. Tutto attraverso il fondo sovrano PIF (Public Investment Fund), che dopo aver acquisito il controllo dei Magpies ha rivolto le proprie attenzioni alla Saudi Pro League, entrando con importanti partecipazioni nei quattro maggiori club del paese: Al-Ittihad, Al-Ahli, Al-Hilal e Al-Nassr. Società che stanno salendo alla ribalta ingaggiando a cifre faraoniche alcuni campioni del calcio europeo, da Cristiano Ronaldo (trasferitosi a stagione in corso, durante il Mondiale in Qatar, dopo la rescissione del suo contratto con il Manchester United) a Karim Benzema fino a N’Golo Kantè.

Il PIF però ha interessi anche nel Chelsea, e qui si è generato il cortocircuito che sta creando polemiche in Inghilterra, visto che i Blues sono in trattativa con squadre saudite per le cessioni di alcuni elementi della propria rosa che sembrerebbero non rientrare più nei piani del nuovo tecnico Mauricio Pochettino. Giocatori quali Hakim Ziyech, Edouard Mendy e Kalidou Koulibaly che, indipendentemente dal prezzo del cartellino concordato, rappresentano un costo gravoso per le casse societarie del Chelsea, ma allo stesso tempo sono quasi impossibili da piazzare, se non alle solite 4-5 squadre dell’elite europea, proprio a causa dell’elevato stipendio. Il PIF è uno dei 300 investitori che ha affidato la gestione di una parte dei propri fondi alla Clearlake Capital, società americana di private equity che ha impegnato circa 3 miliardi di euro, sui 5 complessivi, nell’operazione che ha portato Todd Boehly all’acquisto del Chelsea.

Ci sono delle precisazioni da fare: il PIF investe nella Clearlake Capital dal 2006, quindi molto prima dell’interesse dei sauditi per il calcio. Fatti noti già oggetto di indagine da parte della Premier League un anno fa quando i sauditi erano alle prese con l’acquisizione del Newcastle, conclusasi con un parere positivo: nessun conflitto di interesse riscontrato. Non esistono invece certezze sull’entità dell’investimento del PIF nella Clearlake Capital, visto che uno dei tratti distintivi delle società di private equity riguarda la tutela della privacy di chi investe. L’unico dato certo è che nessuno di essi può detenere più del 5% del capitale della società. Considerando che la Clearlake Capital gestisce circa 60 miliardi di sterline in attività per conto dei citati investitori, qualche ipotesi sul “peso” del PIF può anche essere fatta. Soprattutto però, rispetto a dodici mesi fa, è mutata la situazione, visto che adesso il Chelsea si trova a trattare con una ricchissima controparte di proprietà di uno degli azionisti della sua proprietà. E visto che i Blues sono già partiti alla grande sul mercato, sborsando 65 milioni di euro al RB Lipsia per Christopher Nkunku, le operazioni di alleggerimento delle spese si rendono sempre più necessarie.

Come per la questione degli stipendi spalmati, non c’è nulla di illegale in questa costruzione che permette di ripulire un po’ i libri contabili con l’aiuto di club gravitanti nello stesso sistema solare. Si tratta solo dell’ennesimo sfregio al concetto di fair play e equità, che sembra però interessare solo alle squadre che non possono permettersi di ingannare il sistema. Soprattutto, però, si tratta di un ulteriore, piccolo passo in avanti verso il calcio di Stato. La questione non riguarda più l’influenza esercitata direttamente da uno Stato nel mondo del calcio, già ormai ampiamente metabolizzata (Psg, Manchester City, Qatar 2022), ma quanto a fondo possa ramificarsi e spingersi questa influenza. Come ha scritto Alan Smith sul Mirror: “Quanto tempo ci vorrà prima che i fondi sovrani investiranno direttamente nelle competizioni continentali? Sarà il livello successivo nel processo di acquisizione statale del calcio”.

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