Commenti umilianti in ufficio, chat per soli uomini contenenti ogni genere di scherno, vere e proprie molestie verbali e fisiche. É lo scandalo che si sta abbattendo da qualche giorno su alcune grandi agenzie di comunicazione di Milano, anche se il problema sembrerebbe strutturale e diffuso anche in contesti più piccoli. Tutto è partito lo scorso 9 giugno con un’intervista a Massimo Guastini, noto pubblicitario che vanta nel suo portafoglio clienti nomi come Jaguar, PayPal, EasyJet, per citarne alcuni, apparsa in forma anonima sui social. Guastini – come raccontanto da Milano Today – rivolge ad un certo punto accuse pesantissime a Pasquale Diaferia, altro famoso professionista della comunicazione, mente del celebre Toccatemi tutto ma non il mio Breil. Per Guastini, Diaferia – a carico del quale non risultano, per quanto noto, procedimenti in corso – sarebbe “un molestatore e abusatore seriale di giovani e meno giovani colleghe pubblicitarie o tirocinanti“, e, sebbene non sia mai stato denunciato per fatti del genere, l’impressione è che la questione degli abusi sia quasi di pubblico dominio, almeno per chi lavora nell’ambiente.

“Io non so se Pasquale Diaferia sia attualmente un molestatore sessuale. So per certo che lo è stato tra il 2007 e il 2016. Perché me l’hanno raccontato una dozzina di ragazze. L’ultima proprio in questi giorni, anche se i fatti che mi ha descritto avvennero nel 2012″, ha dichiarato Massimo Guastini, che riportando le diffuse pratiche sessiste racconta un episodio specifico: “Io sino al 2011 ignoravo questo suo vizietto. Le cose cambiarono appunto quando una stagista che lavorava nella mia agenzia mi raccontò la sua esperienza diretta. Ed era letteralmente scioccata. Si erano incontrati in un’occasione pubblica e avevano cominciato a parlare della professione comune: la scrittura per la pubblicità. Lei aveva 20 anni e lui 50. Si offrì di accompagnarla a casa. Invece parcheggiò in una zona isolata e tentò approcci sessuali inopportuni dal momento che lei continuava a respingerlo. Non ci fu stupro, ma decisamente quelle furono molestie sessuali“.

Guastini parla poi della cosiddetta “Chat degli 80”, gruppo tra soli uomini all’interno di We Are Social, azienda con migliaia di dipendenti e uffici in tutto il mondo. Decine e decine di messaggi scambiati tra ogni singolo dipendente di sesso maschile presente in ufficio – dallo stagista ai capi reparto, solo il boss supremo escluso – contenenti ogni genere di volgarità, scherno e minaccia di abusi sessuali nei confronti delle colleghe. Il racconto delle chat viene confermato da un ex dipendente di We Are Social, Mario Leopoldo Scrima, che ci ha lavorato tra il 2017 e il 2021. “Io ero un nuovo arrivato quando sono stato inserito dentro” – racconta – “Se saliva una collega “fregna” al primo piano tutti lo sapevano in anticipo. Lo sapevamo perché c’era la sentinella di turno che avvisava letteralmente del passaggio indicandone l’outfit condito di commenti sessisti. Venivano usati acronimi per indicare le colleghe e ne ricordo diversi. Poi c’erano le sfide: “Si lanciava lo scontro diretto e si esprimevano giudizi e pareri su chi doveva passare il turno. Chi ha le tet*** più grosse? Chi il cu*** più tondo? Chi deve essere sco*** a forza ma con un sacchetto in testa perché cessa?”. Alcuni dirigenti dell’agenzia, Gabriele Cucinella, Stefano Maggi e Ottavio Nava, parlando del caso in un commento all’intervista, hanno dichiarato di non aver mai voluto girare la testa dall’altra parte o insabbiare la storia e hanno espresso “estremo dispiacere”. Secondo quanto riferito dall’intervistatrice, l’azienda ha messo a disposizione degli psicologi dicendosi disponibile ad un confronto con le donne lese, ma né Pasquale Diaferia né We Are Social hanno voluto fornire commenti alle domande di MilanoToday.

L’azienda, tuttavia, ha affidato il proprio commento a un comunicato alle redazioni. “In relazione alle notizie apparse a mezzo stampa relative a fatti risalenti al periodo compreso tra il 2016-2017 – si legge – We Are Social condanna, da sempre, qualsiasi forma di discriminazione e atteggiamenti inappropriati. We Are Social è da sempre impegnata nel creare un ambiente di lavoro sano e inclusivo. La società, nel corso degli anni, ha messo in atto numerose iniziative con partner qualificati affinché il benessere e la tutela delle persone siano al primo posto”.

Intanto, la notizia ha scatenato le reazioni sui social dove si moltiplicano i commenti di ragazze che testimoniano ambienti lavorativi malati e intrisi di sessismo dominante. Una giovane professionista di copywriting racconta degli insulti: “Put*** arrogante, chissà quanti pom*** hai fatto per essere qui“. E ancora: “Quando ho detto di essere incinta mi hanno chiesto se sco***”. “Mi umiliava, mi metteva le mani sul collo e mi scherniva, quando se ne è andato ho iniziato a vivere”. “Ho passato un anno ad andare in terapia per dimenticare quello che mi dicevano in ufficio”.

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