Si tratta del più pesante attacco israeliano su Jenin dai tempi della Seconda Intifada, nel 2000. Il blitz delle Forze di Difesa israeliane (Idf) nel campo profughi della città palestinese si è presto trasformato in una battaglia che ha già lasciato sul campo 5 vittime palestinesi e 60 feriti, di cui 18 in condizioni critiche. Mentre tra i soldati israeliani si contano al momento 7 feriti: 2 sono soldati e 5 sono agenti della polizia di frontiera, nessuno di loro è grave. Tutti sono stati trasportati in ospedale. I militari dello ‘Stato ebraico‘ hanno condotto un’incursione nella mattinata di lunedì utilizzando elicotteri e mezzi blindati con l’obiettivo di arrestare presunti membri di organizzazioni terroristiche, tra cui il figlio di un alto esponente di Hamas in Cisgiordania, Jamal Abu al-Hija.

E per farlo, Israele ha schierato un folto gruppo di militari che ha ingaggiato un conflitto a fuoco con “un massiccio scambio di spari tra soldati e uomini armati nell’area”. Il portavoce militare israeliano ha dichiarato che “è stato lanciato un vasto numero di ordigni esplosivi contro i soldati che hanno risposto”. Inoltre, “un veicolo militare è stato colpito da un ordigno mentre usciva dalla città. Il veicolo è stato danneggiato”. Dopo aver “identificato uomini armati, elicotteri dell’esercito hanno aperto il fuoco in modo da favorire l’uscita dei militari”. A dimostrazione dell’azione dei velivoli, circolano già diversi video sui social che mostrano i razzi sparati dagli elicotteri sul campo profughi di Jenin. Il ministero della Sanità locale citato dalla Wafa ha identificato i morti in Khaled Azzam Darwish (21 anni), Ahmed Yusef Saqr (15), Qais Majdi Adel Jabareen (21 anni) e Qassam Faisal Abu Sariya (29). Mentre tra i feriti c’è anche un giornalista palestinese che stava seguendo gli scontri.

L’Autorità nazionale palestinese (Anp) è intervenuta lanciando un ennesimo appello alla comunità internazionale e in particolare all’amministrazione Biden, affinché intervenga “per mettere fine alla follia israeliana“, ha detto Nabil Abu Rudeina, portavoce del presidente palestinese Abu Mazen. “I continui massacri perpetrati dagli occupanti – ha aggiunto – sono tentativi di Israele di far esplodere la regione e di trascinare tutti in un vortice di violenze“. Hussein al-Sheikh, il segretario generale del comitato esecutivo dell’Olp, ha aggiunto che “nei confronti del popolo palestinese è stata lanciata dalle forze degli occupanti una guerra aperta che è politica, di sicurezza ed economica”. Si riferiva fra l’altro alla decisione annunciata ieri dal governo Netanyahu di snellire le procedure relative alla estensione degli insediamenti ebraici in Cisgiordania. “Siamo impegnati in una battaglia su più fronti – ha aggiunto – e di fronte all’aggressione è necessario mantenere l’unità del nostro popolo”.

Anche l’Unione europea ha criticato l’atteggiamento del governo israeliano: “L’Unione europea è fortemente preoccupata per gli ultimi avvenimenti a Jenin, che hanno causato diverse vittime civili. Le operazioni militari devono essere proporzionate e in linea con il diritto umanitario internazionale – spiega un portavoce del servizio di azione esterna della Commissione europea – In linea con la sua forte opposizione di lunga data alla politica degli insediamenti d’Israele, l’Ue è preoccupata per i piani annunciati di procedere con oltre 4.000 unità di insediamento nella Cisgiordania occupata alla fine di giugno. L’Ue invita Israele a non procedere”. Nel comunicato si legge anche che “gli insediamenti sono illegali secondo il diritto internazionale, costituiscono un ostacolo alla pace e minacciano la fattibilità della soluzione dei due Stati. Queste misure unilaterali sono contrarie alla necessità di garantire la calma e di allentare le tensioni sul terreno. L’Unione europea continua a sostenere i comunicati di Aqaba e Sharm El Sheikh ed esorta tutte le parti a impegnarsi per la de-escalation e a spianare la strada verso un orizzonte politico”.

Le nuove violenze scoppiate in Palestina arrivano nemmeno 24 ore dopo l’accordo siglato proprio tra Israele, Egitto e Autorità nazionale palestinese per l’estrazione di gas da un giacimento al largo delle coste di Gaza. Il premier Benjamin Netanyahu aveva spiegato che lo sviluppo avverrà “nel quadro degli sforzi esistenti” tra Israele, Egitto e Anp “con particolare attenzione allo sviluppo economico palestinese e al mantenimento della stabilità della sicurezza nella regione“. Un progetto “subordinato al coordinamento tra i servizi di sicurezza e al dialogo diretto con l’Egitto, in coordinamento con l’Autorità palestinese, e al completamento del lavoro del personale interministeriale guidato dal Consiglio di Sicurezza Nazionale, al fine di mantenere la sicurezza e gli interessi diplomatici dello Stato di Israele in materia”. Secondo il Jerusalem Post, dovrebbe essere Egas, azienda energetica di proprietà del governo egiziano, “a sviluppare il giacimento” che si trova a circa 30 chilometri dalle coste di Gaza, dove è al potere Hamas. Le stime lo valutano in oltre 1 trilione di metri cubi di gas naturale, quantità ritenuta molto al di sopra delle necessità di Gaza e della Cisgiordania e che quindi in parte potrebbe essere esportata con ricavi economici.

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