Un paio di settimane fa sono rientrato in Europa (Croazia) per partecipare al Forum annuale di Philea, l’associazione che riunisce e rappresenta le organizzazioni filantropiche del vecchio continente. Conferenza con circa 700 persone provenienti principalmente da paesi europei, che per una settimana hanno discusso sui trend emergenti – non solo in Europa ma anche a livello globale – per quanto concerne i finanziamenti pubblici e privati a programmi di utilità sociale.

Lavoro per una Università australiana che vanta una presenza globale, dato che abbiamo campus in Cina, India, Indonesia, Malesia e Italia, e che collabora storicamente con le maggiori organizzazioni filantropiche in Australia, Asia e Stati Uniti. Il panorama europeo è per noi relativamente nuovo, visto che solo da pochi mesi siamo stati riconosciuti come Fondazione di Ricerca Europea, il che ci dà diritto ad accedere a varie forme di finanziamento in Europa. Ho pertanto approcciato questa conferenza come un’enorme opportunità per studiare, analizzare e interpretare come la filantropia europea, nelle sue varie declinazioni (da quella tradizionale, passando per le varie forme di blended finance fino all’impact investment), possa costituire una leva strategica e di complemento per rafforzare ed espandere l’impatto degli investimenti pubblici nel campo sociale e della ricerca.

Esperienza assolutamente affascinante: il panorama europeo è raffinatissimo e con una varietà di strumenti, approcci e modalità che – se paragonati a quelli australiani, asiatici e, seppur in forma minore, americani – confermano ancora una volta come l’idea di un continente europeo unito e coeso, a dispetto di tutte le critiche e sfide che ha dovuto affrontare, sia un’idea geniale e altamente futuristica.

Le Fondazioni filantropiche europee hanno nel proprio DNA la naturale tendenza a lavorare insieme. Mi sono trovato sovente in incontri bilaterali con le maggiori Fondazioni del settore a discutere di potenziali opportunità di collaborazione con la mia Università, e la frase standard che mi veniva rivolta era: “Su questo tema specifico, abbiamo creato una coalizione di donors insieme ad altre Fondazioni che operano in Europa, e supportiamo iniziative attraverso un pool di fondi creato appositamente”.
Sono ripartito con la netta impressione che quasi nessuno lavori più “in proprio”, ma tutti tendono a formare alleanze e network per combinare risorse finanziare e supportare programmi di larga scale, che hanno davvero il potenziale di fare la differenza a livello di impatto sociale. Vivo in Australia da 10 anni e solo recentemente alcune organizzazioni filantropiche hanno intrapreso una simile strada della creazione di coalizioni, affrontando ostacoli e fatiche che le fanno impallidire al confronto di come le omologhe europee operano da molti anni.

E questo mi ha fatto pensare, allargando il discorso e innalzando la visuale, a quanto il progetto europeo abbia abituato i propri cittadini a ragionare e pianificare transnazionalmente. Spesso dibattiamo del valore dell’Unione Europea solo da un punto di vista economico, di gestione della migrazione, di politica estera etc. e ci scordiamo di come il grande merito di tale idea sia stato quello di aver stimolato un inconscio e positivo brainwashing nella maggior parte della popolazione europea, che pensa ed opera come un collettivo. Certo, vi sono ancora sacche nazionalistiche di resistenza in ogni paese (come è normale che sia), ma in vari settori della società si notano gli effetti incredibilmente positivi di questo modo di ragionare ed agire in maniera globale.

Ironia della sorte ha voluto che, una volta rientrato in Australia, una delle prime riunioni di lavoro fosse focalizzata sulla difficoltà di lavorare con un team basato in un’altra città australiana, a causa della distanza, del fuso orario (che qui varia all’interno dei confini nazionali) e delle significative differenze culturali (??!!) esistenti tra le due città.

I giovani europei hanno di fronte a sé molteplici sfide e un panorama di incertezza economica e politica per gli anni a venire. Ma ricevono in eredità dalle generazioni precedenti questo incredibile cadeau di una forma mentis allenata a lavorare in team con persone e organizzazioni provenienti da paesi che, seppur diversi come cultura e tradizioni, sono accomunati da un approccio unitario e coeso all’educazione e al lavoro che rende, a mio parere, il progetto europeo una delle più straordinarie storie di successo della storia dell’uomo.

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