Sei ex dirigenti dell’ex Ilva dovranno andare a processo per la morte di Lorenzo Zaratta, il bambino deceduto il 30 luglio 2014 dopo che gli fu diagnosticato l’astrocitoma, un tumore al cervello, a soli tre mesi dalla nascita. La Corte d’Appello di Lecce, nella sua sezione distaccata di Taranto, ha infatti accolto il ricorso del pubblico ministero Mariano Buccoliero e della famiglia del piccolo, divenuto uno dei simboli dell’inquinamento a Taranto.

Per otto dipendenti dell’ex Ilva era stato deciso il non luogo a procedere dal giudice per l’udienza preliminare Pompeo Carriere con la formula “perché il fatto non sussiste”, ma per sei di loro – Marco Andelmi, Ivan Di Maggio, Salvatore De Felice, Salvatore D’Alò, Giovanni Valentino e Luigi Capogrosso – la procura tarantina aveva proposto appello, ora – come anticipato da La Gazzetta del Mezzogiorno – accolto dal collegio composto dai giudici Giovanna De Scisciolo, Luciano Cavallone e Paola Rosalia Incalza. Affronteranno quindi il processo con l’accusa di omicidio colposo.

Secondo il pubblico ministero, gli imputati hanno consentito “la dispersione di polveri e sostanze nocive provenienti dalle lavorazioni”, “omettendo l’adozione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro e malattie professionali”. Questo avrebbe contribuito a provocare “una grave malattia neurologica” a Zaratta che “assumeva le sostanze velenose durante il periodo in cui era allo stato fetale”, sviluppando una “malattia neoplastica che lo conduceva a morte”.

All’epoca dei fatti Capogrosso era direttore dello stabilimento di Taranto, Andelmi ricopriva il ruolo di responsabile dell’area parchi minerali, Di Maggio dell’area cokerie, De Felice era il responsabile dell’area altiforni, mentre D’Alò e Valentino erano i responsabili delle due acciaierie. Nell’appello non erano stati coinvolti altri due imputati davanti al giudice per l’udienza preliminare perché venne riconosciuto un errore nei capi d’imputazione.

Sempre davanti al giudice per l’udienza preliminare, avendo scelto il rito abbreviato, era stato assolto Angelo Cavallo, all’epoca responsabile dell’area agglomerato, sempre “perché il fatto non sussiste”. La procura aveva invocato una condanna a 2 anni e 4 mesi e ha proposto appello. L’impugnazione della sentenza verrà discussa davanti alla Corte d’Appello a ottobre, lo stesso mese in cui è stato fissato l’inizio del processo, previsto il 2 ottobre davanti alla giudice Anna Lucia Zaurito.

Nel corso dell’udienza preliminare era stati ascoltati tutti i consulenti di parte. Quello della procura, Carlo Barone, aveva sostenuto che è “provato scientificamente che le polveri, come quelle rinvenute nel corpo di Lorenzo Zaratta, potessero arrivare all’organismo del feto: è possibile che quelle di dimensione maggiori siano in realtà le aggregazioni di particelle più piccole”. Il collegio difensivo aveva invece evidenziato come lo stesso consulente avesse confermato l’assenza di studi epidemiologici che mettano in relazione l’astrocitoma e l’inquinamento.

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