Il Decreto Lavoro proroga le norme sullo smart working agevolato, a tutela dei lavoratori fragili, solo per il settore privato fino a dicembre 2023, lasciando nel limbo migliaia di lavoratori pubblici per i quali, se non si interviene con urgenza, la proroga scadrà il 30 giugno 2023. Il motivo è lo stesso di sempre: gli invalidi con patologie croniche in Italia sono almeno 3 milioni, ma pesano giusto quando si vota. Al punto 9 del programma di Fdi, per dire, era scritto “maggiori tutele sul lavoro per i fragili”, ma nulla di strutturale è arrivato, tanto che tocca ancora una volta al Parlamento cimentarsi nella corsa a sanare all’ultimo, a suon di emendamenti, la dimenticanza.

Mercoledì il decreto andrà in discussione e nelle ultime settimane si sono affastellate proposte di tutti i partiti per estendere la proroga anche agli statali, sanando così il paradosso (anche discriminatorio) di uno Stato che toglie le tutele ai dipendenti che lavorano per lui. La questione verte ancora e sempre sul tema delle coperture, benché minimali: un emendamento a firma Lega propone la proroga di tre mesi (fino al 30 settembre) per dipendenti pubblici e privati e le quantifica in 15,9 milioni di euro. Scavando a fondo si scopre però che quello delle risorse è un falso problema: durante la pandemia lo Stato di milioni ne ha spesi 450 solo per attrezzare postazioni e servizi di collegamento da remoto per tutti gli statali. Ragion per cui, la decisione di richiamarli in massa ha già sortito l’effetto di suggellare un monumentale spreco dell’era Covid. Decine di migliaia di tablet e pc buttati in qualche scantinato, in compagnia dei famigerati “banchi a rotelle”. Nel caso dei fragili, la questione è più grave e problematica: costringerli a tornare in ufficio, a fronte di un elevato rischio sanitario, sarebbe un atto irresponsabile oltre che ingiusto, e anche un po’ vergognoso.

Ad opporsi alla proroga, oltre al Mef per ovvie ragioni, pare sia proprio il ministro della PA, Paolo Zangrillo che rimanda la palla a quello dell’istruzione, perché il costo sarebbe perlopiù legato ai supplenti del personale scolastico, vale a dire insegnanti e bidelli, con cui sostituire gli effettivi a rischio. L’esito si vedrà già martedì in Commissione lavoro, appuntamento atteso da migliaia di famiglie tra angoscia e speranza. Una storia che si ripete dall’inizio della pandemia, quando – salvo breve parentesi in cui l’assenza è stata equiparata al ricovero – migliaia di persone affette da patologie plurime sono state costrette a consumare malattia, ferie e permessi per non perdere il posto. Una volta esauriti, molti dei rientrati sono stati dichiarati “inidonei” dal medico aziendale e lasciati a casa senza troppi complimenti.

“Il rischio per noi non passa mai”
I gruppi che si erano formati durante l’emergenza Covid rilanciano appelli, lettere, denunce. “Non possiamo vivere nell’incertezza: molte aziende/enti pubblici sono insensibili e indifferenti a quest’annoso problema e spesso gli accordi sindacali non riescono a coprire le esigenze di questa categoria di lavoratori e lavoratrici” scrivono gli amministratori del gruppo “Lavoratori fragili” che conta 10mila iscritti. “È necessaria una normativa strutturale e definitiva”, si legge in quello al Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e al Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Marina Calderone. “Nonostante la dichiarazione di fine pandemia da COVID-19 da parte dell’OMS, il virus circola ancora e continua a mietere vittime. Viste anche le raccomandazioni emanate dell’OMS, è fondamentale oggi e in futuro mantenere alto il livello di sicurezza, considerando che esistono altre infezioni oltre al covid-19 che potrebbero essere pericolose per la nostra salute, se non addirittura letali”.

Le tante ipotesi sul campo
A parole, c’è un’ampia convergenza tra le forze politiche ma tutto si gioca sui fondi necessari, e dunque sulla platea e sulla durata della protezione. “Ci stiamo lavorando, il problema sono le coperture”, fa sapere Walter Rizzetto di Fratelli d’Italia. L’emendamento presentato dal senatore Gianni Berrino (Fdi) e approvato dalla commissione lavoro del Senato proroga fino al 31 dicembre 2023 il diritto nel settore privato, sulla base delle valutazioni dei medici competenti, mentre per i lavoratori della Pa si fermerebbe al 31 agosto, una durata più breve di sei mesi proprio a causa dell’asserita indisponibilità di fondi pubblici. Un emendamento della senatrice Elena Murelli (Lega) punta a spingere la proroga per i lavoratori fragili pubblici e privati fino al 30 settembre, e quantificata in 15, 9 milioni gli oneri a carico dell’Erario. Un emendamento presentato come primo firmatario da Orfeo Mazzella (M5S) , firmato anche da senatrici e senatori del Pd, Alleanza Verdi-Sinistra ed autonomie estende al 31 dicembre il lavoro agile a fragili e genitori con figli under 14 del privato e del pubblico. E vai a sapere come finirà.

“Ma quali coperture, con noi lo Stato risparmia!”
Il tema delle coperture “non esiste, di più, è un falso problema”. Lo sostengono gli stessi fragili che lavorano in remoto nelle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato. Rapido sondaggio tra i diretti interessati: impiegati di comuni, ministeri, agenzie fiscali e camere di commercio. “Forse il costo è per il personale scolastico che va sostituito”, dice ad esempio Sarà S. che lavora in un comune del Sud ed è affetta da una grave cardiopatia ischemica, proprio una di quelle patologie croniche individuate dal decreto Brunetta-Speranza del 4 febbraio 2022 per codificare (e restringere) la platea dei soggetti cui consentire il lavoro agile. Sara dubbi non ne ha: “Di mansione, sono destinata allo sportello ma da tre anni faccio esclusivamente back office da casa, esattamente come farei in presenza, con risultati di performance anche maggiori di prima”. La differenza? “Alla mia amministrazione costo meno: l’ente risparmia sui buoni pasto, sulla presenza, sugli straordinari che non paga”. Solo di ticket, l’Asl del Brindisino per cui lavora Alberto C. risparmia 1500 euro l’anno. “Sono immunodepresso dopo il trapianto di midollo e da due anni lavoro in modalità agile. Finora c’è stato un risparmio di 3mila euro in ticket, ma anche su tutte le spese energetiche, dal riscaldamento alla luce che sono a carico mio”, sostiene, dicendosi pronto a sfidare chiunque dica il contrario a suon di buste paga e bollette. “Mi sono anche comprato il pc apposta, nessuno me lo ha rimborsato. Fate il conto di questi risparmi, chiedete all’amministrazione, poi ditemi se siamo un costo”. “E’ solo una scusa perché con noi lo Stato risparmia”, dicono ad esempio Daniela Bruglia e Silvano Antori – tra gli organizzatori del gruppo Fb “Immunodepressi tutela contro Coronavirus” facendo notare come già il Piano organizzativo della Pa preveda che un 15% del personale sia in smartworking: “Non sarebbe giusto che questo 15% fosse riservato ai malati che rischiano la pelle in caso di infezione?”.

Come conclamare uno spreco da 300 milioni
Testimonianze che fanno il paio con un altro grande paradosso fatto di numeri. A gennaio 2022 Agenda Digitale, con il contributo degli Osservatori del Politecnico di Milano ha analizzato la spesa della Pa per smartworking sostenuta dallo Stato – amministrazioni centrali e e periferiche – fino a fine ottobre 2021. La ricerca si è basata su una serie di procedure di acquisto di beni e servizi che nell’oggetto citavano keyword legate a questo scopo, come “lavoro agile” o “smart working” o “collaboration software” o “remote desktop” e via dicendo. I risultati? Nel 2020 il valore dei contratti pubblici così individuati è aumentato di quasi 6 volte rispetto alla media dei 4 anni precedenti (da 6 a 45 milioni), e ancor più abnorme è stata la spesa sostenuta per acquistare strumenti e programmi informatici che avrebbero consentito ai dipendenti la continuità della prestazione da casa, vale a dire pc, tablet, telefoni portatili: è triplicata, passando da 150 a 450 milioni di euro. Certo erano i tempi del lockdown, oggi sarebbe una frazione minimale a usarli e il resto, probabilmente, ha fatto la fine dei famigerati banchi a rotelle, stipati negli armadi. Richiamare anche i dipendenti a rischio sanitario, a prescindere dall’azzardato per gli effetti sanitari, significherebbe dunque massimizzare lo spreco e minimizzare la capitalizzazione di investimenti già fatti, insieme ai risparmi sugli altri costi. Il prezzo nascosto di una beffa monumentale.

“Sono d’accordo”, dice Pasquale Tridico che fino al 4 maggio scorso era presidente dell’Inps. “Il costo del lavoro agile nella Pa è stato altissimo, circa 300 milioni l’anno. Specie nel caso di insegnanti, nel.momento in cui non è prevista la dad, per bidelli, per autisti, ecc. La situazione però è molto cambiata, si tratta di tutelare qualche decina di migliaia di lavoratori con una politica sociale di protezione per malati oncologici, affetti da malattie respiratorie, per i quali occorrono circa 10 milioni al mese. Molto meno di quanto lo Stato ha speso in acquisti per garantire che quelli sani continuassero da casa a erogare le prestazioni”.

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