È l’uovo di Colombo: tutte le strade passano per un miglioramento dei salari e quindi della produttività. Anche il futuro dei traballanti sistemi previdenziali. E David Card, premio Nobel per l’Economia nel 2021 insieme a Guido Imbens e Joshua Angrist, di salari senza dubbio ne intende. Il professore canadese che ilfattoquotidiano.it ha incontrato nei giorni scorsi a margine del Festival Internazionale dell’Economia, ha ricevuto l’ambito riconoscimento proprio grazie ai suoi studi sugli effetti del salario minimo, dell’immigrazione e dell’istruzione sul mercato del lavoro, che hanno dimostrato empiricamente come l’aumento del salario minimo non comporti necessariamente una diminuzione dei posti di lavoro. Eppure i più sospettosi sul tema sono proprio i sindacati…

Perché anche un paese dove la contrattazione collettiva è molto estesa non deve aver paura del salario minimo legale?
Storicamente capita che i sindacati abbiano paura che il salario minimo faccia sembrare meno importante il loro lavoro, ma credo che si tratti di timori fuori luogo perché in altri contesti e in altri Paesi il salario minimo pone un livello minimo al salario che i rappresentanti dei lavoratori possono negoziare per i lavoratori meno qualificati. In Portogallo o in Spagna, dove ho fatto molte ricerche sulla contrattazione, il salario minimo è in realtà il livello di partenza in molte contrattazioni collettive, quindi aiuta i sindacati ad aiutare i lavoratori con i salari più bassi.

Quindi qual è il problema?
Loro pensano che il salario minimo gli toglierà un po’ di importanza. Inoltre nel contesto italiano credo che l’altra cosa importante sia che c’è un certo movimento nei cosiddetti sindacati pirata, che solitamente presentano gli accordi firmati come frutto di millantate negoziazioni e che verrebbero soverchiati dal salario minimo.

Con milioni di lavoratori impiegati a meno di 5 euro lordi all’ora, fissare dall’oggi al domani un salario minimo legale come quello a 9 euro l’ora proposto dalla politica, non significa spingere tantissimi lavoratori al part time involontario o peggio alla disoccupazione?
C’è sempre preoccupazione quando si introduce il salario minimo. C’era una grande preoccupazione in Germania, nell’est della Germania, c’era una grande preoccupazione in Gran Bretagna, se si pensa a Coventry e a tutte le aree del Regno Unito con salari bassi. Non sembrava un problema così grande, ma se c’è della preoccupazione, allora bisognerebbe stabilire un salario più basso per iniziare, per vedere cosa succede e se si vede che funziona, allora si può implementarlo e alzarlo.

Un esempio?
Lo ha fatto la signora Merkel: in Germania hanno inserito il salario minimo in modo piuttosto moderato e poi hanno via via aumentato. C’è stato un dibattito molto acceso e lei ha fatto un compromesso, lo so perché conosco persone che la stavano consigliando, ha detto: facciamo un tentativo e vediamo cosa succede.

Lei ha parlato di una connessione tra l’intelligenza artificiale e la perdita di forza lavoro, questo significa che l’intelligenza artificiale potrebbe salvare il nostro sistema pensionistico al posto dell’immigrazione?
No, i robot non prendono lo stipendio ma costano molto e non possono fare tutto. La cosa principale che potrebbe salvare il sistema pensionistico, a questo punto, è che nel momento in cui le persone che attualmente contribuiscono stanno diventando sempre più povere, è necessario rendere la forza lavoro più produttiva. Il sistema fiscale è abbastanza pesante, il 30% della loro retribuzione va a beneficio del sistema previdenziale, quindi rendere più produttivo il sistema previdenziale ci aiuta. Penso che questo sia principale mezzo. Anche la migrazione potrebbe avere un certo effetto, ma non è politicamente fattibile, soprattutto con gli attuali governi di tutto il mondo, quindi credo che sia necessario pensare a come rendere la forza lavoro più produttiva, oppure dovranno tutti lavorare più a lungo, ma hanno già alzato di molto l’età.

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