Ha ancora senso investire sullo studio universitario fuorisede confidando in un futuro migliore che sarà valso il sacrificio? In tempi come i nostri nei quali gli studenti protestano in tenda contro il caro affitti, la domanda è decisamente attuale. Raj Chetty, William A. Ackman Professor of Economics all’Università di Harvard, che ilfattoquotidiano.it ha incontrato a margine di un apprezzatissimo intervento al Festival internazionale dell’economia, non ha dubbi o esitazioni: “Sì, certo, ma dipende da quale università e quale città: in America ci sono college che stimolano l’avanzamento sociale degli studenti e altri che non lo fanno”.

Per quanto importante, l’università è tuttavia solo uno dei tasselli del mosaico. “Il posto in cui studi è estremamente rilevante, è fondamentale, ma lo è anche il posto dove si cresce. Dalle scuole che si frequentano ai lavori ai quali si avrà accesso, ci sono molti fattori che impattano sulla mobilità sociale“, spiega ancora il professore che è anche direttore di Oppurtunity Insight, organizzazione no profit che raggruppa un team di ricercatori e analisti politici per analizzare nuovi dati e creare una piattaforma che consenta agli stakeholder locali di prendere decisioni più informate.

“Ma la cosa più importante è la rete di conoscenze che hai, chi sono i tuoi amici, chi frequenti e se una persona a basso reddito ha amici ad alto reddito. Capire come creare dei ponti relazionali tra persone diverse nella società è un fattore chiave per stimolare la mobilità sociale verso l’alto”, chiosa Chetty anticipando il tema del suo intervento al Festival, incentrato appunto sul ruolo del capitale sociale e delle reti nella mobilità sociale e sulle soluzioni politiche per sbloccare l’ascensore che ai nostri tempi è decisamente fermo. Uno studio che si è basato sui dati dei social network per analizzare il livello di mobilità sociale di quartieri, città, regioni e stati d’America.

Secondo le analisi del professore, uno dei più giovani nella storia di Harvard, la radice della variazione del capitale sociale è iperlocale, di conseguenza lo spostamento è essenziale per la scalata sociale. “Prima ci si sposta, migliori saranno i risultati di lungo termine”, garantisce. E più ci si mescola, più si avanza: “Una società iniqua è più divisa, c’è meno interazione tra le diverse classi e meno mobilità”. Quindi se le radici familiari sono fondamentali, la situazione di partenza si modifica spostandosi qualitativamente in senso relazionale, ma anche fisico.

Le argomentazioni e i dati a dimostrazione del fatto che cambiare quartiere o città può migliorare la vita futura dei bambini le cui famiglie si trasferiscono e può ridurre la persistenza intergenerazionale della povertà, hanno attirato l’attenzione della città di Seattle. Tanto da farle fare gli investimenti da un centinaio di milioni di dollari in sussidi per la mobilità, cioè per aiutare le famiglie a spostarsi come strumento di contrasto alla povertà.

Un tema al quale anche la politica italiana farebbe bene a interessarsi, perché i ritorni non sono affatto risibili e vanno ben oltre il beneficio del singolo individuo o della sua famiglia. “Abbiamo visto con i nostri studi che nei posti dove c’è maggiore mobilità sociale i bambini tendono più facilmente a diventare imprenditori o inventori – risponde interpellato sulla quantificazione del beneficio che un Paese può trarre dall’investimento sulla stimolazione della mobilità sociale -. In un nostro studio abbiamo visto che in America ci sono molti meno inventori di quanti ce ne potrebbero essere se l’ascensore sociale funzionasse. Quattro volte in meno per la precisione. Questo vuol dire che ci siamo persi per strada un numero enorme di Einstein che avrebbero potuto avere un impatto eccezionale sulla società e sul Paese”.

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