Le forze armate ucraine e russe hanno tenuto regolari scambi di prigionieri da quando la Russia ha lanciato la sua invasione su vasta scala dell’Ucraina il 24 febbraio 2022: tuttavia, quello che è successo alla vigilia della Pasqua ortodossa, che quest’anno è caduta il 16 aprile, è apparso subito abbastanza insolito da meritare di essere interpretato. Il più potente gruppo di mercenari russi, PMC Wagner, ha restituito un centinaio di prigionieri di guerra ucraini a Kiev nel contesto di uno scambio in occasione della festività cristiana. Come se chiedesse ai suoi tagliagole di esercitare la pietà evangelica, Yevgeny Prigozhin in un video pubblicato su Telegram ha chiesto di trattare con tutti i riguardi i combattenti del generale Valery Zaluzhny catturati a Bakhmut: avrebbero dovuto essere forniti di abiti, sfamati, dissetati e curati se feriti. È stato quindi mostrato un video dell’ex “cuoco di Putin” che diceva a un gruppo prigionieri che sarebbero stati restituiti alle forze ucraine per celebrare a casa loro la festa. Si è persino sentito un mercenario dire ai prigionieri: “Spero che non cadiate di nuovo nelle nostre mani!” prima che venissero caricati su un camion insieme ad alcune bottiglie d’acqua. Una decisione, quella di Prigozhin, presa in totale autonomia, scavalcando (di nuovo) il ministero della Difesa russo.

Tempo una settimana e lo stesso Prigozhin ha di nuovo cambiato registro incitando i suoi uomini, che combattevano la feroce battaglia di Bakhmut, a uccidere i soldati ucraini e a non fare più prigionieri. Evidentemente, però, si trattava non soltanto di un ordine ai subalterni, ma soprattutto di un messaggio a Kiev: se è vero, come sostenuto dai consiglieri del presidente Volodymir Zelensky, che “le vite della nostra gente sono il valore più alto” e “l’obiettivo è di riportare indietro tutti i prigionieri di guerra rimasti”, allora bisognava trattare ancora col nemico numero uno. E la trattativa ha dato i suoi frutti, dal momento che Kiev e PMC Wagner prima dello scorso weekend hanno scambiato altri due gruppi di un centinaio di prigionieri ciascuno, tra soldati e ufficiali. Lo hanno fatto senza nascondere alcun dettaglio dell’operazione, mostrando video e interviste.

Non è cosa di tutti i giorni che un governo come quello ucraino, che gode del pieno sostegno dei Paesi occidentali, tratti direttamente uno scambio di prigionieri con una società commerciale privata che gestisce un gruppo paramilitare che per giunta opera in un settore proibito ufficialmente dalle leggi russe e che fino a non molto tempo fa era indicato come “l’esercito privato” di Vladimir Putin. Se, come è da credere, Kiev lo ha fatto col consenso di Washington e alleati, allora è ancora più insolito il secondo fatto a cui abbiamo assistito: PMC Wagner ha trattato a favore delle truppe del ministero della Difesa senza, come si intuisce dall’intera vicenda, operare come un intermediario tra Kiev e Mosca, ma agendo in prima persona e apertamente. Men che meno lo ha fatto su richiesta di Shoigu e Gerasimov. Insolito è anche il fatto che si sia perfezionato a pochi giorni dall’agevole ritiro degli ucraini dal teatro di Bakhmut, con le truppe di Wagner in procinto di cedere il controllo delle rovine della città alle truppe del ministero della Difesa, proprio ora che i fianchi di Bakhmut sono caduti in gran parte sotto il controllo ucraino.

Dopo il moltiplicarsi delle voci, da gennaio in poi, sull’esistenza di un “canale diplomatico” aperto tra Kiev e Prigozhin, sembra confermato che le due parti, pur combattendosi ferocemente, si siano parlate per molto tempo e quasi certamente senza ricorrere a intermediari: l’articolo del Washington Post di metà maggio su contatti, durante l’inverno, tra lo stesso Prigozhin e Kiev per uno scambio tra la presa di Bakhmut e i dati sulle posizioni delle truppe russe, in quest’ottica, sembra anticipare il futuro prossimo piuttosto che raccontare il passato remoto.

Così come le recenti affermazioni dell’intelligence di Kiev sul fatto che gli ucraini starebbero dando la caccia al fondatore di PMC Wagner per ucciderlo paiono più utili a rabbonire il presidente Zelensky che segnali di un prossimo omicidio eccellente. Decisamente, a Kiev fa comodo che l’ex cuoco di Putin assista, senza partecipare, ai prossimi scontri tra gli ucraini e le truppe del ministero della Difesa: è stato il capo dell’intelligence Kyrylo Budanovad ad affermare che Prigozhin è pronto ad andare alla resa dei conti con i capi militari russi e che i “tribunali militari” attendono coloro che perdono. Nonostante non sia riuscito a prendere rapidamente Bakhmut, l’influenza di Prigozhin sul Cremlino non è diminuita: dopotutto, sempre secondo Budanov, gioca a favore di Prigozhin il non esser stato dietro il piano per aggredire l’Ucraina. Oltretutto, per sua stessa ammissione a battaglia conclusa, ha sacrificato a Bakhmut le truppe meglio addestrate della Federazione russa per quello che era un obiettivo inutile, mentre Kiev, tenuta sotto pressione solo nella remota località del Donbass, preparava – parole sue – uno dei più forti eserciti del mondo. Chissà se un giorno si scoprirà quanto si siano davvero parlati Budanov e Prigozhin e quanto questi colloqui abbiano influito sulle vicende militari del maggio 2023.

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