Mentre nel porto di Genova partono i lavori per la nuova diga foranea, con una spesa stimata sopra il miliardo di euro, la stessa Autorità Portuale che ha appena terminato di celebrare la crescita dei volumi di merci e di affari sui terminal, non sembra riuscire a trovare le risorse per fare aggiungere all’organico dei lavoratori portuali i 74 camalli precari che da oltre sei anni lavorano per la Compagnia Unica e diversi terminalisti. Somministrati dall’agenzia Intempo del gruppo Randstad, quando la Culmv non ha personale a sufficienza per rispondere ai picchi di lavoro, da sei anni questi lavoratori vengono chiamati e pagati alla giornata.
Un incarico impegnativo nei mesi estivi, quando aumentano le sostituzioni per ferie dei lavoratori dell’organico fisso, ma cala a 2-3 chiamate al mese da novembre a giugno, rendendo di fatto discontinuo l’incarico e insufficiente il reddito prodotto da un lavoro che resta faticoso e richiede una reperibilità continua per poter rispondere alle chiamate su quattro turni, notti e festivi compresi. Alla giornata celebrativa per i lavori per la diga, i lavoratori avevano fischiato ministro delle infrastrutture Matteo Salvini, il quale a sua volta aveva garantito il massimo impegno diretto per risolvere la situazione. “Non è possibile che un porto in crescita come quello di Genova non riesca ad assorbire lavoratori precari, mi impegnerò a seguire in prima la persona la situazione e spero si sblocchi entro una settimana”.
Sono passati dieci giorni da quelle promesse e i lavoratori denunciano di non aver ricevuto alcuna proposta alternativa al precariato: “Una beffa e una questione che non riguarda solo noi – spiegano i lavoratori a ilfattoquotidiano.it – perché non è possibile che una città investa tre miliardi in un’opera che dovrebbe aumentare i volumi e senz’altro aumenterà il traffico di camion, grandi navi, container e mezzi pesanti, ma a quanto pare non prevede la necessità di un aumento dell’organico porto, fermo da anni”.
Alla situazione dei precari si aggiunge lo spettro dell’autoproduzione, soluzione caldeggiata a novembre dallo stesso Salvini, che comporterebbe la possibilità delle compagnie della logistica e dello shipping di non usufruire del lavoro dei portuali del territorio, ma fare lavorare – anche a terra – personale proprio: “Un sistema – denunciano i sindacati portuali – che darebbe il colpo di grazia al settore del lavoro portuale e aumenterebbe i carichi già insostenibili dei lavoratori marittimi”.
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