A metà degli Settanta del Novecento, sul muro del mezzanino di un liceo fiorentino, tra un’assemblea e un collettivo comparve un grande manifesto per comunicare una mostra sulla pace e le armi e contro il terrorismo, propedeutica alle imminenti elezioni studentesche. Il manifesto era a colori con la figura dello Zio Sam, con tanto di stella sul cilindro e il dito indice puntato verso chi guardava. Solo che al posto della consueta scritta I want you, riportava un misterioso I care, ovvero “mi importa”, “mi interessa”, “mi sta a cuore”. All’inizio pochi fecero caso a quel cambio di parole, poi quando qualcuno tradusse quell’espressione, rendendosi conto si trattava dell’esatto contrario del “me ne frego” fascista, molte menti si illuminarono e “conobbero” don Lorenzo Milani, il Priore di Barbiana. Lui era morto da neanche dieci anni e la sua lezione faceva ancora fatica a scendere dai boschi del Mugello; ma qualcuno pian piano l’aveva recepita e a sua volta la stava diffondendo. Soprattutto a scuola.

Don Lorenzo Milani nasce a Firenze il 27 maggio 1923 e tra breve prenderà il via un nutrito calendario di appuntamenti, di cui si tratta altrove. Chi era veramente il “prete scomodo” e il maestro di una scuola dove la campanella di fine lezione non suonava mai? “Prima di tutto era un prete” dice Sandra Gesualdi, giornalista e figlia di Michele, uno degli “allievi” di don Milani alla scuola di Barbiana, autore di una decina di libri sull’opera del Priore e che tra il 1994 e il 2005 fu presidente della Provincia di Firenze e poi della fondazione intitolata al Milani. E aggiunge: “Prima di tutto lui ha voluto essere un prete della chiesa di Pietro. Era un ragazzo assolutamente libero, leader di se stesso, con un fuoco dentro, curiosissimo fin da piccolo e risultato del modello culturale basato sulla libertà di pensiero che ha ricevuto dalla famiglia Milani-Comparetti (il cognome del bisnonno Domenico, ndr). Lorenzo ragazzo me lo immagino sin da subito consapevole, in cerca di qualcosa che desse un senso alla sua vita. All’inizio provò con la pittura, dove cercava l’essenziale, che lì era solo estetico. Ma non gli bastava e decise di cercarlo altrove. Si fece prete, una strada che volle fortissimamente percorrere. A quel momento Lorenzo è già un uomo deciso, coraggioso, che percorre la sua strada nonostante le difficoltà che incontra. Un percorso pieno anche di profezie, perché quando uno è anche un po’ profetico non viene capito subito, lui che aveva una concezione della vita evidentemente più avanti rispetto ai tempi. Basta pensare che a quasi 60 anni dalla morte, siamo ancora qui a parlare di lui molto spesso”.

Ma don Milani non era solo un prete. “No. Era un prete che si è fatto maestro, poiché ebbe l’intuizione, quasi ovvia per un vero convertito, di applicare alla lettera il Vangelo, che diceva due cose: innanzitutto diffondere la parola di Dio. Lui ci provò, ma in quel momento era a San Donato di Calenzano, un paesino di vecchi e ragazzi: i primi ripetevano a memoria tutta la messa in latino, i secondi erano tutti operai semianalfabeti che non entravano in chiesa che stava dalla parte dei padroni. Considerato che, come scrisse Lorenzo in un testo, ‘da bestie a santi il fossato è troppo grosso’, decise di farne degli uomini, consapevoli e capaci di scegliere. Perché diversamente dall’animale, l’uomo sceglie e ciò avviene se conosce. Ecco il perché della scuola, lo strumento che ci rende esseri umani, cioè capaci di scegliere in maniera critica. Questa è l’intuizione di don Lorenzo Milani che da prete si fa maestro per tirar fuori l’essere umano di cui ognuno è depositario. Si va a scuola per tirar fuori l’umanità, fatta di intelletto, coscienza e consapevolezza, per analizzare e dare risposte alla realtà. Se divento un essere umano così smetto di essere passivo, che si fa sfruttare da chiunque, ma sono sovrano di me stesso e capace di relazionarmi agli altri uomini, sempre con rispetto”. Quindi don Milani fu prima di tutto prete, poi maestro. Ma non basta. Per alcuni dei ragazzi di Barbiana fu perfino qualcosa in più: “Don Lorenzo era anche un babbo – dice Gesualdi – per tutti i ragazzi come guida ed esempio, per Michele e suo fratello Francuccio anche ‘anagraficamente’ parlando. È in queste tre figure che racchiuderei il ricordo di don Milani”.

Come risultante di tutti e tre i profili, il Priore di Barbiana fu però anche un personaggio scomodo. “Sicuro – annuisce Sandra Gesualdi -, perché se sei un buon padre, un bravo maestro e un ottimo prete non puoi che essere una spina nel fianco, scomodo e scomodante. Come diceva mio padre Michele, la verità va lentamente, ma arriva. Può essere civica, di fede o d’altro genere, ma arriva. Se tu sai di essere dalla parte giusta, e ciò te lo dice solo la tua coscienza, puoi riuscire a dire di no a tutti, anche al potere costituito, al papa, al vescovo, al capo di stato che ti dice di premere il pulsante per sganciare una bomba atomica. Se non lo trovo giusto, io dico di no. Ecco, per me questa è una roba fortissima. Però uno può sempre chiedersi quando una legge è ingiusta. La risposta è chiara: quando si trasforma in sopruso per i più deboli. Quando una legge, invece di aiutare i più numerosi, che sono anche i più deboli, è vessillo dei potenti, allora è lì che ci si deve ribellare. Se vedi un sopruso non puoi voltarti indietro”. Così si torna al punto di partenza, a quell’I care che per qualcuno, in piena epoca post sessantottina (fase distruttiva), aveva invece già un valore positivo (fase costruttiva). E tutto grazie all’opera di un priore di campagna.

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Foto in altoTratta da donmilanicentenario.it

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