di Franco Failli

L’intelligenza artificiale potrebbe arrivare a dominare il mondo, come fa in qualche apocalittica previsione fantascientifica? È una ipotesi. Quella che invece è una certezza è che influisce sull’evoluzione della nostra specie nel senso che ci trasforma ancora una volta, realmente e concretamente, in qualcosa di sostanzialmente diverso da ciò che eravamo solo qualche secolo o qualche anno fa. Quale è stata la strada che abbiamo percorso fin qui? Un punto di vista potrebbe essere quello di considerare che:

– la scrittura ci ha liberato dalla necessità di ricordare quel che ci serve;
– la motorizzazione di massa ci ha liberato dalla necessità di camminare e di pedalare;
– la produzione industriale ci ha liberato dalla necessità di saper costruire da soli gli oggetti che vogliamo;
– la fotografia ci ha liberato dalla necessità di disegnare, e poi la fotografia digitale ci ha liberato anche dalla necessità di saper usare un apparecchio fotografico complesso;
– le calcolatrici ci hanno liberato dalla necessità di saper fare i conti;
– le macchine da scrivere, i PC, i tablet e i cellulari ci hanno liberato dalla necessità di usare una penna;
– i word processor ci hanno liberato dalla necessità di conoscere l’ortografia e in buona misura l’analisi grammaticale e l’analisi logica, grazie alla possibilità di usare il correttore automatico;
– i motori di ricerca ci hanno permesso di trovare informazioni, liberandoci dalla necessità di saperci muovere nell’universo dei libri e del sapere (atto che necessitava di acquisirne almeno i rudimenti).

Adesso l’intelligenza artificiale ci solleva dalla fatica di comporre un testo, o anche solo di scegliere un soggetto da fotografare. Alla fine della catena degli atti faticosi da cui potrebbe capitare di essere sollevati, c’è la respirazione. Ma l’idea di campare attaccati ad un polmone d’acciaio sicuramente non è allettante. E questo perché noi non siamo entità astratte “servite” dai nostri arti e dal nostro cervello. Noi “siamo” i nostri arti e il nostro cervello. Diminuire la varietà di usi che ne facciamo e l’abilità che dimostriamo nell’usarli non è affatto una cosa ininfluente su ciò che siamo e stiamo diventando. Inoltre, la fatica del fare le cose di cui pare ci siamo liberati, l’abbiamo spostata invece sugli altri o sul pianeta. Le risorse che servono a produrre un oggetto, anche se è fatto a macchina senza grande fatica fisica di nessuno (grande cosa!), sono comunque sottratte all’ambiente. Sono materiali consumati, è petrolio che viene bruciato (ma, anche se fosse energia solare, i pannelli vanno costruiti, e poi smaltiti…) e le cose c’è comunque spesso ancora qualcuno che le fa, mettendoci impegno, fatica e tempo, anche se le troviamo sul banco di un supermercato.

Invece fare le cose e usare poi quel che si è fatto, oltre ad un certo grado di soddisfazione personale che non è da buttar via, serve a ricordare che le cose, materiali o immateriali, hanno un valore che capiamo meglio, se ci cimentiamo nella loro fabbricazione, non importa a quale livello di abilità e autonomia. E questo sembra proprio un buon esempio di ciò che ci sarebbe utile per riequilibrare il mondo e farci comprendere la quantità di danni che stiamo producendo con il nostro consumismo sfrenato. Se alle cose ci tenessimo come se le avessimo fatte noi, ne conosceremmo il valore, ce le faremmo durare anni e di ciò saremmo fieri, e saremmo contrariati dalla sola idea di sostituirle con altre.

L’intelligenza artificiale rischia di essere un altro aggeggio che ci inganna facendoci sembrare che tutto sia gratis. E invece non è così, sia considerando le risorse che consumiamo sia considerando le abilità che perdiamo. Ovviamente ogni perdita è stata anche un acquisto: i farmaci a basso costo salvano e allungano la vita, la fotografia è diventata un’arte, l’informatica ci ha fatto sviluppare nuove forme di creatività e il calcolo automatico ci ha risparmiato un’infinità di errori e seccature. Niente neo-luddismo, dunque, ma consapevolezza.

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