Il 13 maggio 1978, esattamente 45 anni fa, il Parlamento italiano approvava la cosiddetta “legge Basaglia”, abolendo in questo modo gli ospedali psichiatrici e con loro la reclusione forzata (e violenta) delle persone con disturbi mentali. Un passaggio epocale, che ha significato la piena cittadinanza di persone fino a quel momento considerate “scarti” della società. Il lavoro dello psichiatra veneziano Franco Basaglia (morto nel 1980 a soli 56 anni) e il movimento sociale e politico che sostenne la sua lotta, hanno collocato l’Italia all’avanguardia nell’eliminazione della ghettizzazione prodotta dai “manicomi”: un faro di civiltà che ancora oggi è fonte di ispirazione per quanto riguarda la salute mentale. Un processo lungo che vede grosse differenze di implementazione nelle diverse latitudini nel nostro paese ma che ha aperto la strada ad un’altra via possibile nella cura dei disturbi mentali, senza muri, senza segregazione, senza stigma.

Un’altra via possibile alla quale si guarda anche dall’America Latina dove Basaglia diffuse il suo innovativo approccio e dove piantò diversi semi che ancora oggi fioriscono. Un esempio di ciò è il libro La condena de ser loco y pobre: alternativas al manicomio che raccoglie le quattordici conferenze che Basaglia tenne in Brasile nel 1979, parlando del suo lavoro, delle esperienze e delle idee che portarono alla rivoluzione italiana dell’anno prima. Di fronte a centinaia di studenti, insegnanti, medici, psicoterapeuti e sindacalisti lo psichiatra italiano parlò della lotta all’esclusione e alla stigmatizzazione sociale, della necessità dell’abolizione dell’istituzionalizzazione psichiatrica e di come la salute mentale potesse e dovesse essere vista sotto un’altra luce.

Una storia di grande impatto e di grande sacrificio legata all’esempio e al lavoro di Basaglia è anche quella del venezuelano Argenis Giménez (62 anni) , originario di Barquisimeto e meglio conosciuto nella sua città natale ( e anche in tutto il Venezuela) come “El loco de la pancarta” (il pazzo del cartello). Argenis, che fu paziente psichiatrico, porta avanti dal 1992 una singolare e tenace protesta ispirata al lavoro dello psichiatra veneziano, per denunciare i maltrattamenti che ancora oggi vengono sofferti dalle persone con disturbi mentali nel paese sudamericano.

Ogni giorno, da 30 anni, percorre le strade di Barquisimeto con un cartello sulla testa, un cartello che riporta frasi diverse ma che in sostanza chiedono tutte la fine della repressione e della violenza negli ospedali psichiatrici in Venezuela. Lui stesso ha sofferto queste vessazioni e queste violenze (a 28 anni gli fu somministrato il primo elettroshock) nell’ospedale psichiatrico Hospital El Pampero, struttura dalla quale scappò poco dopo per iniziare un attivismo sociale e una lotta che continua ancora oggi. Argenis vuole che le persone con disturbi mentali smettano di essere martiri anonimi e che possano trovare il loro posto in una società senza scrupoli verso chi soffre questa condizione, persone che non votano, che non pagano le tasse, e che quindi non sono “utili” al sistema.

Nato nel seno di una famiglia “difficile” e numerosa, figlio di una madre che soffriva di gravi problemi di schizofrenia, con altri otto fratelli e in una situazione di povertà estrema, Argenis dovette cercare fin da molto piccolo la sua strada. A soli 7 anni scappò di casa e venne accolto dalle suore della Carità, in un centro dove apprese a leggere e scrivere. E scrivere è una delle grandi passioni di questo attivista sociale che conia con creatività i suoi messaggi di denuncia quotidiani, appoggiato dai suoi concittadini che gli facilitano strumenti e beni di prima necessità. Scrive Argenis tutte le volte che può e la sua opera dal titolo Sintesis Autobiografico del loco de la pancarta è oggi una grande testimonianza di una vita passata in favore di una grande lotta di civiltà.

Un personaggio già diventato folklore e mito della capitale dello Stato Lara, intellettuale della strada che vive in strada, un testimone di quell’altra via possibile difesa da Basaglia, un uomo che con determinazione e grande forza d’animo continua a parlare di una rivoluzione che da questa parte del mondo tarda nel compiersi.

Le denunce di Argenis trovano infatti supporto in numerosi reportage e articoli, come quello realizzato dal New York Times nel 2016 proprio nella sua città, Barquisimeto. Una situazione di maltratto strutturale, aggravata ancora di più dalla grave crisi economica attraversata dal paese sudamericano e che non si limita alla città natale di Argenis. Altri reportage, come quello realizzato da France 24 nel 2019 nell’ospedale psichiatrico di Lidice (Caracas), denunciano infatti la situazione di violenza, repressione e abbandono che vivono le persone con disturbi mentali dentro le strutture psichiatriche anche nel resto del paese.

Argenis Gimenez non sarà un martire anonimo e il suo impegno deve farci riflettere su quanto sia ancora necessario (e urgente) fare, per abbattere i muri dell’indifferenza e dello stigma verso la salute mentale.

Grazie Argenis.