Non ci credeva nemmeno lui, all’inizio. Sul volo di ritorno dagli Stati Uniti, si svegliava, e controllava che in tasca ci fosse davvero l’assegno da 250mila dollari. Quando lo ricorda oggi, al professor Riccardo Masetti si accendono gli occhi. Eppure dalla fine degli anni ‘90 di tempo ne è passato, da quando conosce una donna americana che aveva creato nel 1982 la fondazione Susan G. Komen, in memoria della sorella, morta di cancro al seno a soli 36 anni. L’evento simbolo della fondazione era una mini-maratona per le donne a cui era stato diagnosticato un tumore al seno: la “race for the cure”. Sono passati più di trent’anni e a oggi la “Race for the cure” è la più grande manifestazione – in Italia e nel mondo – per la lotta ai tumori del seno. L’edizione 2022 si è chiusa con il recordi di iscritti: in 50mila hanno corso solo a Roma, nello storico percorso che parte ogni anno dal Circo Massimo, 90mila in tutte le altre edizioni sparse per le diverse città d’Italia. E quest’anno l’obiettivo è superarsi: si corre nella capitale domenica 7 maggio, e oltre alla tradizionale passeggiata di 2 km e alla corsa di 5 km aperta a tutti è previsto per la prima volta un percorso di 8 km riservato agli atleti competitivi. Ma poi si correrà anche a Bari (14 maggio), a Brescia (17 settembre), a Bologna e a Napoli (24 settembre), a Matera (1 ottobre).

La “race” è un evento simbolo della Komen Italia che si svolge sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica e con il patrocinio e la partecipazione delle principali istituzioni italiane per celebrare le “Donne in Rosa”, donne che stanno affrontando o hanno affrontato il tumore del seno (sono 56.000 ogni anno in Italia) e che, come piace dire a Masetti, indossando una maglietta o un berretto di colore rosa, diventano “ambasciatrici della prevenzione”. “Dagli Stati Uniti all’Italia, la Race ha cambiato il modo di guardare a questa malattia: grazie alla condivisione dell’esperienza, le donne non hanno paura di mostrarsi e si danno forza l’un l’altra”, racconta il prof dal suo studio, al 7° piano del Policlinico Gemelli di Roma, dove ha sede il Centro di senologia che dirige (una delle eccellenze in Italia). Masetti racconta come in quasi trent’anni la malattia sia cambiata molto, così come le terapie e le tecniche con cui si interviene. “Nonostante sia un tumore altamente curabile, resta avvolto da una grandissima paura, anche perché prima una donna restava profondamente segnata dall’invasività e tossicità dei trattamenti. C’è un problema in parte culturale e in parte di accesso alle cure. In Calabria, per esempio, dove come in ogni regione ci sono gli screening gratuiti per le donne potenzialmente interessate, meno del 20% lo effettua. Ed è proprio una diagnosi tardiva che può comprometterne l’esito”.

Che fare, quindi, con un tumore che per Masetti è “democratico”, nel senso che non guarda in faccia nessuno? “È necessario confrontarsi sempre di più sulla ferita, non solo fisica, che un tumore del genere lascia”. Un pensiero in linea con l’importante svolta dell’oncologia integrata, che s’interessa non solo del trattamento medico del cancro, ma anche del “terreno” della malattia, e di conseguenza, della prevenzione, e della qualità della vita dopo il trattamento.

“Le donne che scoprono un tumore al seno lo conoscono bene quel nemico che appare di colpo, come un ladro di notte, in casa propria”, scriveva Selvaggia Lucarelli nello speciale “Race for the cure” che Il Fatto ha dedicato qualche anno fa all’iniziativa. “Anche loro se lo sono portate dietro per un po’ o a lungo, mentre lavoravano, mentre uscivano con le amiche, mentre facevano l’amore, mentre accompagnavano a scuola i figli, mentre prendevano il sole su una spiaggia, mentre piangevano per una scemenza. Non sapevano. Non lo scoprono, sempre, facendosi la doccia come da narrazione-tipo del tumore al seno, le donne. C’è chi lo scopre durante una mammografia di routine, chi infilandosi un reggiseno, chi mentre allatta, chi quando era una pallina più piccola di una perla e se ne era rimasto lì, chi quando se ne era già andato in giro e allora la guerra diventa riacchiapparlo, scovare le basi, indebolire l’altro”. A quella parola, “CHEMIOTERAPIA”, d’improvviso diventa tutto, in un solo istante, nero. La paura della morte, di perdere i capelli, il lavoro, gli amici. Il sentire che, da quel momento in poi, ci sarà per sempre un prima e un dopo. Per tante donne, il professor Masetti è stato, ed è, la mano che ti accarezza mentre ti stai per addormentare in sala operatoria. Ma è anche un riferimento per tutto il viaggio che continua.

Resta un uomo a cui non piace comparire, anche se per la “Race” – “è come il mio quarto figlio”, dice lui, il fondatore di Komen Italia – entra ed esce da dirette tv per promuovere l’evento. “Con i fondi raccolti, anche grazie alla Race for the Cure, in 24 anni abbiamo investito oltre 23 milioni di euro”: per offrire gratuitamente a 180.000 donne esami diagnostici di prevenzione dei tumori del seno e di altre patologie oncologiche femminili; più di 980 seminari di aggiornamento e formazione avanzata per operatori sanitari, studenti ed associazioni femminili; 72 premi per giovani ricercatori; e realizzare 2 nuovi spazi clinici ed educativi per donne con tumore del seno: il “Centro Komen Italia per i Trattamenti Integrati in Oncologia” presso il Policlinico Gemelli di Roma e lo Spazio Polifunzionale “Donne al Centro” presso l’Ospedale Bellaria di Bologna.

La diretta della Race for the Cure – che anche quest’anno vedrà come madrine le attrici Maria Grazia Cucinotta e Rosanna Banfi – sarà visibile sulle pagine social di Komen Italia @komenitalia e sul canale 519 della piattaforma SKY e di Tivùsat.

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