Dopo Khader Adnan altri sono pronti ad andare avanti a oltranza fino alle estreme conseguenze, lasciarsi morire di inedia dietro le mura grigie del famigerato carcere di Ofer, l’Incarceration Facility 385 secondo il linguaggio burocratico dell’amministrazione penitenziaria israeliana, o quello di massima sicurezza di Nitzan, dove il leader della Jihad Islamica è morto dopo 86 giorni di digiuno. L’Intifada della fame è l’ unico mezzo che i detenuti palestinesi rinchiusi nelle carceri israeliane senza accuse formali – li chiamano “arresti amministrativi”, si tratta dell’ equivalente di una detenzione preventiva – hanno per ottenere la liberazione. Come i detenuti dell’Ira nel penitenziario di Maze nel 1981, quando in otto seguirono il destino di Bobby Sands, il primo che si lasciò morire scuotendo le coscienze nel maggio del 1981 dopo 66 giorni di digiuno. L’Intifada della fame dietro le sbarre può scatenare rabbia e violenze in tutti i Territori palestinesi occupati – come dimostra l’escalation di queste ore – dove questa protesta è sentita, sostenuta e appoggiata. Tutti i palestinesi hanno un parente, un amico, un conoscente in cella.

Nel primo grande sciopero nelle carceri israeliane – nel 2004 – 10mila detenuti rifiutarono il cibo per 17 giorni. Iniziativa che ogni anno si rinnova durante la “giornata del detenuto” che cade in aprile. Altri incarcerati palestinesi hanno superato soglie impensabili di digiuno. I più noti di loro sono Maher Akhras, che ha fatto uno sciopero della fame di 103 giorni nel 2020, Hisham Abu Hawash, uno sciopero di 141 giorni quest’anno, e Khalil Awawdeh. Le circostanze degli scioperanti della fame in Israele sono note: stanno protestando contro la detenzione amministrativa. Queste persone sono state semplicemente portate da casa loro in prigione senza processo, senza un’accusa. Molte volte non sanno nemmeno perché. Trascorrono lunghi periodi in prigione. La loro carcerazione viene semplicemente rinnovata. La detenzione amministrativa disgrega le famiglie, strappa le persone dalla loro vita. L’unico modo che hanno per protestare contro l’ingiustizia che hanno subito è lo sciopero della fame.

Il trattamento dei detenuti in Israele è uno dei temi più sentiti tra i palestinesi. I crimini per cui vengono arrestati sono dei più vari, dal semplice lancio di pietre all’organizzazione di attacchi terroristici. Tra i 6mila palestinesi detenuti nelle carceri, 1.002 sono in regime di detenzione amministrativa. Una misura usata prevalentemente nei casi in cui gli indizi disponibili consistono in informazioni ottenute dai servizi segreti (come lo Shin Bet) e nei casi in cui un processo pubblico potrebbe rivelare informazioni ritenute di sicurezza nazionale dalle forze israeliane. In ogni caso, ogni comandante dell’IDF nella Cisgiordania occupata può diramare un ordine di detenzione amministrativa che può essere appellato presso la locale Corte militare e, se negato, alla Corte Suprema. Anche in questo caso, l’ ordine è valido per sei mesi, ma può essere rinnovato a tempo indeterminato dall’autorità di occupazione.

Nel territorio palestinese questa forma di detenzione extragiudiziale esisteva sin dal mandato britannico del 1945 ed era usato specialmente con le organizzazioni estremiste ebraiche prima della nascita di Israele. L’ordine militare che legifera la detenzione amministrativa è il n. 1651 del 1970 che nel 1979 è stato ribadito, nonostante il Parlamento israeliano avesse stabilito già nel 1951 che questa misura andava abolita.

Khader Adnan, prima di portare alle estreme conseguenze il suo ennesimo sciopero della fame (nel 2004 fu scarcerato dopo 74 giorni di digiuno), è stato sottoposto 12 volte all’arresto amministrativo, senza che nessuno mai portasse in un tribunale una prova di colpevolezza per i fatti di cui era accusato. Ora anche i palestinesi hanno il loro Bobby Sands.

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