Dopo circa un anno e mezzo, torna El Niño, fenomeno climatico che comporta il riscaldamento del Pacifico tropicale centrale e orientale, fino alle coste di Perù ed Ecuador e che si ripete con intervalli da 2 a 7 anni e dura da 9 a 12 mesi, portando ondate di calore, siccità e alluvioni in varie aree del mondo. E così, a Ginevra, l’Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo) lancia l’allarme. “Lo sviluppo di un El Niño porterà molto probabilmente a un nuovo picco nel riscaldamento globale e aumenterà la possibilità di battere i record di temperatura” ha affermato Petteri Taalas, capo della Wmo. Le possibilità che nel 2023 la calda corrente di El Niño faccia aumentare le temperature a livelli record raggiungeranno il 60% da maggio a luglio, aumentando al 70% tra giugno e agosto e all’80% tra luglio e settembre. Già a fine marzo, la National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) aveva annunciato ufficialmente la fine del fenomeno che, nel modello climatico El Niño-Southern Oscillation (ENSO) è opposto a El Niño, ossia La Niña, che consiste nel raffreddamento della stessa area del Pacifico tropicale centrale e orientale e che negli ultimi tre anni si è ripetuto costantemente, portando con sé eventi meteorologici estremi. Dalle piogge torrenziali alla siccità. Ed ora cosa aspetta il Pianeta e, in modo particolare, il Mediterraneo? “Mentre si ha più conoscenza di quali potranno essere le conseguenze a livello globale, molto meno certezze ci sono su quali saranno gli scenari nel Mediterraneo e, quindi, in Italia” spiega a ilfattoquotidiano.it Antonello Pasini, fisico climatologo del Cnr, ricordando che nonostante l’effetto Niña “gli ultimi anni sono stati comunque tra i più caldi, anche se non come quelli precedenti”.

Cosa aspettarsi a livello globale – Secondo l’Organizzazione meteorologica mondiale, infatti, l’anno più caldo da quando ci sono rilevazioni scientifiche è stato il 2016, per effetto combinato di un Niño molto potente e del riscaldamento globale di origine umana. E così la temperatura delle acque oceaniche è arrivata a misurare oltre 3°C in più rispetto alla norma. Poi è arrivata La Niña ed ora si ritorna a temere temperature altissime. “È un po’ come quando si dà l’aspirina a chi ha la febbre. Nel momento in cui si smette di prendere la medicina, ecco che la febbre sale fino a raggiungere temperature altissime” spiega Pasini. Storicamente El Niño aveva ricorrenza periodica di circa 3/5 anni, ma nell’ultimo periodo questo fenomeno è diventato sempre più frequente. Secondo gli ultimi studi del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico tra le ragioni c’è anche l’aumento delle temperature legate al riscaldamento globale. Di fatto gli effetti sono diversi a seconda delle aree del pianeta: El Niño porta normalmente piogge su aree del Sudamerica, nel Sud degli Stati Uniti, nel Corno d’Africa e nell’Asia centrale, mentre siccità sull’Australia, l’Indonesia e parti dell’Asia meridionale. D’estate, inoltre, alimenta gli uragani nel Pacifico centro-orientale, mentre li ostacola sull’Atlantico. Ma sono diversi i fattori in gioco. “Il mondo dovrebbe prepararsi allo sviluppo del Niño, che potrebbe portare sollievo dalla siccità nel Corno d’Africa, ma potrebbe anche scatenare più eventi meteorologici estremi” avverte Taalas, sottolineando la necessità dell’iniziativa ‘Primo allarme per tutti’ preparata proprio dall’Organizzazione meteorologica mondiale insieme ad altri partner. Presentato dal segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, alla Cop27 di Sharm el-Sheikh, il progetto richiede un investimento di 3,1 miliardi di dollari fra il 2023 e il 2027, necessari proprio a causa dell’imprevedibilità di alcuni fenomeni. Che, tra l’altro, si influenzano a vicenda.

Gli effetti del Mediterraneo – El Niño, in genere, è legato a una maggiore attività dell’Anticiclone di origine africana, che tende ad espandersi su Europa e Italia nel periodo estivo. Da qui le ondate di calore con punte fino a 40°C e siccità che colpisce soprattutto il Centro Sud. “Conosciamo, però, questi effetti sul Mediterraneo meno bene rispetto a quelli che si verificano in altre aree del mondo, come l’Africa o l’America meridionale” precisa Pasini, ricordando che in Italia l’ultimo anno è stato il più caldo degli ultimi 220. “E l’abbiamo avuto con La Niña. Allo stesso modo, non è detto che con El Niño avremo un altro anno di temperatura record – aggiunge – perché questo fenomeno influisce sulla temperatura media globale, ma regione per regione ha una variabilità notevole”. Ma c’è da valutare anche l’effetto di El Niño sulla Nao, la North Atlantic Oscillation, un indice che riguarda la circolazione atmosferica sull’Atlantico settentrionale ed è dato, per l’esattezza, dalla differenza di pressione tra l’Anticiclone delle Azzorre posizionato sull’alto Atlantico e la depressione islandese. “A seconda della fase della Nao, il Mediterraneo può essere secco o umido” spiega Pasini. Una Nao negativa, infatti, porta a un aumento delle precipitazioni sul Mediterraneo e sull’Italia, mentre se è positiva il clima è più secco e mite. Questo indice ha una forte influenza su ciò che avviene nel Mediterraneo, anche se ha una forte variabilità che rende difficile prevederne gli effetti. “Se la Nao, dunque, entra in questa fase portando a un aumento delle precipitazioni nel Mediterraneo, allora potremo aspettarci un po’ più di pioggia” spiega il fisico climatologo del Cnr. Che precisa: “Queste, però, sono le cosiddette ‘teleconnessioni’, ossia connessioni a distanza. Come una serie di ingranaggi in cui, però, non è così meccanico che lo spostamento di uno determini lo spostamento di un altro in una precisa direzione. Dunque sì, ci sono dei legami, ma aspetterei prima di dire che la prossima estate o il prossimo autunno faranno registrare più piogge. Potremo forse aspettarci meno anticicloni africani ma, meglio essere chiari, su questo c’è molta incertezza”.

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