A distanza di 28 anni, potrebbe esserci una svolta nell’inchiesta sull’omicidio di Pietro Sanua, il venditore ambulante e sindacalista ucciso il 4 febbraio 1995 come un boss in via Di Vittorio, a Corsico, alle porte di Milano. Pietro Sanua, però, non era un boss e nemmeno uno ‘ndranghetista. Piuttosto era presidente provinciale dell’Anva, l’associazione nazionale venditori ambulanti, e fondatore a Milano dell’associazione “Sos impresa”. Impegnato contro lo strapotere dei clan, in quegli anni, denunciò più volte il “racket dei fiori” coinvolgendo funzionari del Comune, polizia annonaria, associazioni di categoria e grossisti. Come fiduciario dei mercati di Buccinasco, Corsico e Quarto Oggiaro, inoltre, Sanua verificava che i venditori ambulanti rispettassero le posizioni assegnate dalle graduatorie e dai regolamenti.

Se in questo contesto è maturata la decisione di ucciderlo ancora è un mistero. Di certo il suo impegno e la sua correttezza hanno dato fastidio alla mala di Milano che, come oggi, già a metà degli anni 90 parlava calabrese e in particolare reggino. Ed è proprio in provincia di Reggio Calabria, a Oppido Mamertina, che si sono presentati nei giorni scorsi gli uomini del capo della Squadra mobile Marco Calì su disposizione della Direzione distrettuale antimafia di Milano, coordinata dall’aggiunto Alessandra Dolci. Supportati dai colleghi della squadra mobile di Reggio Calabria, guidati da Alfonso Iadevaia, infatti, gli investigatori lombardi si sono recati nella frazione Tresilico della cittadina della Piana e hanno bussato alla porta di Vincenzo Ferraro, di 57 anni, che è il primo indagato per l’omicidio di Pietro Sanua. Fratello dell’ex latitante Giuseppe Ferraro, a parte qualche frequentazione l’uomo non ha grossi precedenti penali ma in passato è stato residente a Settimo Milanese (città natale della moglie) e anche per questo era solito fare la spola tra la Calabria e la Lombardia.

Il secondo indagato, se non fosse morto, avrebbe oggi 93 anni. Si tratta di Gaetano Suraci, originario di Santo Stefano d’Aspromonte, che, stando a quanto si legge nel decreto di perquisizione emesso dalla Dda, sarebbe stato il mandante dell’omicidio Sanua. Un delitto, aggravato dalle modalità mafiose, alla cui fase organizzativa ed esecutiva avrebbe partecipato Vincenzo Ferraro. Almeno questa è l’ipotesi investigativa che, si ribadisce, ancora non ha portato a nessuna misura cautelare né tantomeno a un processo.

I pm, infatti, sospettano che all’alba del 4 febbraio 1995, intorno alle 6.10, Ferraro si trovasse a bordo di una Fiat Uno bordeaux assieme a una persona ancora non identificata. Mentre percorreva la vecchia Vigevanese in direzione Cisliano, dopo aver notato il furgone rosso di Pietro Sanua, la Fiat avrebbe fatto “una repentina inversione – si legge nel provvisorio capo di imputazione – immettendosi nella medesima direzione di marcia del furgone. Una volta arrivato alla altezza di via Di Vittorio di Corsico, dall’autovettura Fiat Uno scendeva uno dei due occupanti che armato di un fucile calibro 12 provvedeva ad esplodere due colpi all’indirizzo della cabina del furgone colpendo mortalmente con un colpo alla testa Sanua”. Consumato l’omicidio, davanti agli occhi del figlio della vittima che si trovava a bordo del furgone, i killer hanno incendiato l’utilitaria nella zona industriale di Trezzano sul Naviglio da dove si sono poi allontanati a bordo di una Lancia Thema o di un modello di auto simile. Se uno dei due sicari sia stato proprio Vincenzo Ferraro è ancora tutto da dimostrare. L’inchiesta è in corso e gli agenti della Mobile hanno perquisito due appartamenti a Oppido Mamertina: il primo è il luogo dove l’indagato è ufficialmente residente e l’altro è la casa dove, di fatto, dimora con la moglie e i due figli.

Le regole di ingaggio dettate agli uomini di Calì dal procuratore aggiunto Dolci sono chiare. Nero su bianco sono riportate nella seconda pagina del decreto di perquisizione dove c’è scritto che la polizia a casa di Ferraro cerca “documentazione cartacea, fotografie o qualsiasi altro materiale attestante i rapporti che l’indagato, nel periodo antecedente, prossimo o successivo alla data dell’omicidio, ha avuto con Gaetano Suraci e con la famiglia di quest’ultimo, nonché documentazione attestante il possesso di una Lancia Thema”. Quale sia stato l’esito del blitz ancora è coperto dal segreto investigativo. È presto per capire se l’inchiesta porterà mai a un processo o se, dopo 28 anni, l’omicidio Sanua è destinato a restare un “cold case”.

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