“Sono solo contento che mio figlio Artem sia tornato a casa. E per questo ringrazio Vladimir Putin. Il nostro Paese ha molti amici e persone oneste che lo sostengono e che al momento giusto sono pronte ad aiutare. So di cosa parlo”. Mentre in Italia ci si accapiglia per stabilire a chi debbano essere attribuite le responsabilità per la fuga dal Paese dell’imprenditore russo Artem Uss, colpito da un mandato d’arresto negli Stati Uniti per trasferimenti di petrolio dal Venezuela verso la Cina e soprattutto per aver trafficato illegalmente materiale bellico americano a favore della Russia, tecnologie ritrovate sui tank di Mosca nella guerra contro l’Ucraina, il padre dell’uomo sospettato di attività illegali in favore della Federazione esulta per la fuga riuscita del figlio e il suo ritorno in patria. Ma Alexander Uss, oligarca molto vicino a Putin, potrebbe non essere il solo: tra partiti politici, aziende e imprenditori che conservano interessi diretti con la famiglia Uss, sono in tanti ad aver osservato con interesse il caso dell’imprenditore arrestato all’aeroporto di Malpensa. Perché sono molti gli affari fatti dalla Russia di Putin con politici, imprenditori e banche italiane. Anche grazie alla famiglia Uss.

L’affare Metropol e il cablogramma dell’ambasciatore Usa su Putin e Berlusconi
Se si guarda al panorama politico italiano, i due partiti maggiormente legati a Mosca da quando Vladimir Putin è salito al potere sono certamente la Lega di Matteo Salvini e Forza Italia. Non ci sono però solo l’amicizia mai rinnegata tra Berlusconi e il capo del Cremlino o la stima manifestata più volte dal capo del Carroccio nei confronti di quello che definì il “miglior uomo di governo in questo momento sulla faccia della Terra”, salvo poi rimangiarsi tutto dopo l’invasione dell’Ucraina. Sulla Lega e Berlusconi rimane l’ombra dei legami economici col presidente russo e i suoi uomini più vicini. Tra i quali c’è proprio Alexander Uss, ricchissimo governatore di Krasnoyarsk e padre dell’uomo fuggito alla giustizia italiana.

Per la Lega, su tutto svetta quello che è stato ribattezzato l’affare Metropol, dove si attende per la decisione dei giudici riguardo alla richiesta di archiviazione avanzata dai pm per Gianluca Savoini, ex vicepresidente leghista del Comitato regionale per le Comunicazioni della Lombardia e presidente dell’associazione culturale Lombardia-Russia, l’avvocato d’affari Gianluca Meranda e l’ex bancario Francesco Vannucci, indagati per corruzione internazionale. Secondo quanto ricostruito dalla Procura milanese, ai tavolini dell’albergo del centro di Mosca, nel giugno 2018, sei persone, tra cui i tre italiani, hanno discusso di una tentata compravendita di petrolio e del progetto di una “tangente” da far arrivare alla Lega per finanziare le elezioni europee del 2019, attraverso i rapporti con uomini vicini al presidente russo. Ma, come ricostruito dal Fatto Quotidiano, dalle migliaia di atti acquisiti dalla Procura di Milano e da diverse audizioni fatte è emersa una seconda compravendita di petrolio. Chi compra dall’Italia, per come ricostruito dall’accusa, è Eni. Lo schema si ripete quasi identico, ma questa volta la compravendita sarebbe andata in porto, a differenza di quanto successo con l’operazione “madre” dell’inchiesta. Di più: il tutto sarebbe avvenuto in tempi coincidenti con quelli del progetto del Metropol, e dunque tra la fine del 2018 e prima delle elezioni europee del 2019. Anche in questo caso esiste un mediatore: una società costruita ad hoc. Il meccanismo rilevato dalle nuove indagini segue ciò che fu detto al Metropol. E così, è emerso, la società mediatrice acquista dal colosso russo Rosneft con uno sconto di circa il 10%. Dopodiché il pacchetto di prodotti petroliferi passerebbe, secondo l’accusa, alla compagnia tricolore: non con lo stesso sconto, ma con una percentuale inferiore. In questo modo, sostengono gli inquirenti, i mediatori avrebbero fatto una cospicua “cresta” di denaro a discapito dell’acquirente finale, che ancora una volta risulta parte offesa.

A pesare sull’amicizia tra Putin e Berlusconi, invece, almeno stando ai cablogrammi trasmessi nei primi anni 2000 dall’allora ambasciatore americano in Italia, Ronald Spogli, ci sono anche e soprattutto intese economiche tra i due. “Esponenti della maggioranza di centrodestra e dell’opposizione del Pd – si legge nella comunicazione riservata diffusa nel 2010 da Wikileaks – credono che Berlusconi e i suoi amici stiano approfittando personalmente e in modo generoso dei tanti accordi intercorsi tra l’Italia e la Russia. Ritengono che Berlusconi e i suoi stiano personalmente traendo vantaggio da molti degli accordi tra Italia e Russia. L’ambasciatore georgiano a Roma ci ha detto che il suo governo ritiene che Putin abbia promesso a Berlusconi una percentuale dei profitti realizzati da qualsivoglia gasdotto sviluppato da Gazprom in coordinamento con Eni”. Un meccanismo, questo, facilitato anche dal lavoro di collegamento svolto da colui che l’ambasciata americana considera l’uomo di Berlusconi in Russia, il deputato di lungo corso e oggi viceministro delle imprese e del Made in Italy, Valentino Valentini: “Ogni volta che sollevavamo il problema dei rapporti tra Berlusconi e la Russia – scriveva Spogli – le nostre fonti nel Pdl e nel Pd ci indicavano Valentino Valentini, un deputato e una figura in qualche modo misteriosa, come colui che opera come uomo chiave di Berlusconi in Russia, sebbene non abbia uno staff e nemmeno una segretaria. Valentini, che parla il russo e che si reca in Russia molte volte al mese, frequentemente appare al lato di Berlusconi quando incontra gli altri leader mondiali. Cosa faccia in questi viaggi così frequenti a Mosca non è chiaro. Ma si vocifera in modo ampio che sia là per curare gli interessi e gli affari di Berlusconi in Russia”.

Gli affari nel petrolio e i legami con le compagnie italiane
Non è quindi la politica a legare la famiglia Uss all’Italia. Anzi, sono soprattutto gli affari economici. Se si tralascia il fatto che Alexander Uss è tra i proprietari dell’hotel Don Diego, sulla Costa Dorata, in Sardegna, quando si parla di affari, in Russia, il riferimento è soprattutto a quelli nel campo delle materie prime. E qui gli Uss fanno la parte dei padroni: Artem Uss non è solo azionista di maggioranza della Sibugol llc, una società che estrae e vende carbone grazie soprattutto a commesse pubbliche, ma detiene anche parti di altre aziende e del programma Vostok Oil. Si tratta, come scrive Repubblica, del più grande progetto di sviluppo petrolifero del mondo, con un valore da circa mille miliardi di dollari. E a inventarlo sono stati proprio il padre dell’uomo fuggito alla giustizia italiana e il Ceo di Rosneft, Igor Sechin, uno degli uomini più vicini a Vladimir Putin.

Vostok Oil è anche il vero anello di congiunzione tra la famiglia di oligarchi e l’Italia. Prima dell’invasione dell’Ucraina, tutte le grandi aziende nostrane hanno cercato di mettere le mani sul progetto russo. Fu il direttore generale per la promozione del Sistema Paese del ministero degli Esteri, l’ambasciatore Enzo Angeloni, che nel 2020 prospettava “importanti ricadute per numerose imprese del nostro Paese. Vostok Oil prevede la costruzione di 15 città industriali, due aeroporti, un porto, 5.500 chilometri di strade e ponti”. Putin in persona ne parlò con gli imprenditori della Camera di commercio italo-russa, con la milanese Maire Tecnimont che veniva indicata come vincitrice della commessa da 1,1 miliardi per la costruzione di una raffineria. Tutti affari che sarebbero stati vagliati proprio da Alexander Uss che avrebbe dovuto incontrare personalmente rappresentanti di compagnie come Eni, Danieli e Saipem. Ma secondo il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari, il principale artefice della presenza italiana in Vostok Oil è sempre stato Antonio Fallico, compagno di classe di Marcello Dell’Utri, uomo di Fininvest in Russia dalla fine degli anni Ottanta e il banchiere che può essere considerato il punto di collegamento tra le aziende italiane e la Federazione. Fallico è soprattutto l’uomo delle fortune di Banca Intesa a Mosca. I rapporti tra l’istituto italiano e Rosneft sono radicati: “Nel 2016 – scrive Repubblica – ha partecipato alla privatizzazione del colosso energetico russo e l’anno dopo ha guidato un pool di banche che ha finanziato con 5,2 miliardi di euro l’acquisto del 19,5% delle quote. Un’operazione così importante per il Cremlino da avere convinto Putin a consegnare onorificenze di Stato ai vertici dell’istituto”.

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