Il destino porta con sé un antico dubbio che accompagna – come un’ombra – coloro che si chiedono perché viviamo, chi siamo e se abbiamo una rotta da seguire nella vita: “Qualsiasi destino, per quanto lungo e complicato possa essere, vale solo per un singolo momento: quello in cui l’uomo capisce una volta per tutte chi è”. Credo che la frase di Jorge Luis Borges – scrittore, poeta, argentino che amò l’atavico dubbio umano legato all’esistenza del fato – potrebbe riguardare ciascuno di noi e, forse, anche Inácio Lula da Silva, un uomo sorto dalla povertà, passato per innumerevoli traversie e oggi giunto al terzo mandato presidenziale della Repubblica del Brasile.

Il destino, cinque anni fa, diede un tiro mancino al leader venuto dal Nordest brasiliano, che ricorda con tristezza il 7 aprile, oggi, l’amara ricorrenza del giorno in cui fu ingiustamente imprigionato per la seconda volta nella sua singolare vita. Il primo arresto politico avvenne nel 1980, quando l’ex operaio, divenuto un leader sindacale nella regione industriale di São Paulo, fu imprigionato dal Dipartimento dell’ordine politico e sociale, la tenebrosa polizia politica della dittatura militare brasiliana, istituita dopo il colpo di stato del 1964.

In un nuovo scenario d’instabilità democratica, nel 2018, 54 anni dopo il golpe, il canovaccio si ripete: il presidente del Brasile divenne di nuovo un prigioniero politico e rinchiuso nella Soprintendenza della polizia federale a Curitiba. Lula viene imprigionato, dopo un processo sommario, arbitrario, in cui senza prove fu condannato per corruzione a 12 anni di prigione nell’ambito della Lava Jato, l’inchiesta giudiziaria diretta dal giudice Sergio Moro, oggi senatore per il partito conservatore União Brasil.

Tutte le sentenze – considerate ingiuste e parziali anche dall’Onu – furono totalmente annullate dal Supremo tribunale federale nel 2021, dopo che il presidente trascorse 580 giorni detenuto. La Lava Jato prese forma nel 2014 e non solo impedì la candidatura di Lula alle presidenziali del 2018, ma – ancora prima del suo arresto – preparò il terreno per realizzare uno tsunami politico: cercare d’eliminare il Pt, il Partido dos Trabalhadores e la destituzione nel 2016 della presidente Dilma Rousseff con un golpe, “democraticamente” chiamato impeachment.

Il destino insegue anche la vita dell’ex combattente del gruppo “Vanguarda armada revolucionária”, organizzazione che combatteva il regime militare, spalleggiato dal governo americano che, come negli anni Sessanta – secondo le rivelazioni di Edward Snowden, l’ex analista della Nsa, l’agenzia di spionaggio americana – spiò la presidente anche negli anni della presidenza. In un reportage pubblicato l’11 marzo del 2022 su Le Monde, i giornalisti Gaspard Estrada e Nicolas Bourcier scrivono che il governo degli Stati Uniti influenzò la creazione dell’Operazione Lava Jato, con un collegamento con l’ex giudice Sergio Moro, uno dei responsabili del giudizio sui casi. Nel testo, i reporter affermano che la task force ha servito “vari interessi, ma non la democrazia”. Anni dopo il fato, o forse no, ha voluto che Rousseff divenisse oggi la presidente della Banca dei Brics e Lula battesse proprio l’ex capitano Bolsonaro e il suo vice, il generale Walter Braga Netto, al ballottaggio presidenziale di novembre.

Futuro e passato, volendolo o no, sono vincolati al presente che, libero, cambia continuamente, svincolandosi da tutti i piani desiderati dagli uomini, incluso quelli dei brasiliani che continuano ad essere divisi, socialmente e politicamente, anche con Lula presidente. Sono polarizzati a causa anche degli insaziabili inseguitori di “like”, youtuber, influencer ed esperti del neuro-marketing, i quali sfruttano l’umanità compulsiva, viziata da dopamina ed effimere sensazioni, esasperatamente stimolata dai cellulari che le impediscono d’essere consapevole di se stessa.

La destra e il bolsonarismo cospirano continuamente contro Lula, un uomo che surfa continuamente sulle onde del destino, cercando di controllarlo, tentando d’evitare, come tutti, la sofferenza del passato, come è avvenuto anche per Rousseff, vittima di cospirazioni e tradimenti nel suo governo di coalizione. Chissà cosa vi sarà dietro le polemiche che hanno colpito recentemente il presidente, a causa dei suoi commenti che mettono in dubbio l’autenticità delle minacce di morte che avrebbe fatto il Pcc – la potente organizzazione criminale a carattere mafioso brasiliana – all’ex giudice della Lava Jato. Il presidente brasiliano inizia ad essere visto con sospetto anche dal presidente americano Joe Biden a causa del suo riavvicinamento con la Cina, con cui ha stipulato un accordo monetario per emanciparsi dal dollaro; ma anche per non seguire la politica degli altri paesi alleati degli americani che seguono ciecamente i dettami del presidente statunitense nella guerra contro la Russia in Ucraina.

I recenti movimenti della destra brasiliana potrebbero fare pensare alla ricerca di uno spazio politico dove potere agire per screditare Lula: se quest’ultimo non raggiungerà presto parte degli obiettivi annunciati in campagna elettorale e non si rafforzerà in politica estera, difficilmente sapremo che cosa gli serberà il destino – dopo essere sopravvissuto a tante tempeste nella vita. I timori per una nuova operazione della destra per screditare Lula e il suo partito, il Pt, ci sono ed è stato il tema del dibattito che ha avuto luogo – secondo il settimanale CartaCapital – il 31 marzo a Brasilia, in cui il partito ha discusso sulla possibilità di una nuova operazione Lava Jato o uno scandalo sul modello del Mensalão, per screditare, ancora una volta, il partito.

Il tono del dibattito di Brasilia è stato di critica alla magistratura e alle decisioni della dirigenza del partito che in diversi momenti ha rimosso i membri del partito con accuse di corruzione. I timori sono fondati se, un giorno prima del dibattito brasiliano, persino Papa Francesco ha commentato al canale televisivo argentino C5N i pericoli della manipolazione del sistema giudiziario che, in Brasile, ha condannato il presidente Lula senza prove. Il pontefice ha aggiunto che Dilma è una donna esemplare e il lawfare (guerra combattuta attraverso la manipolazione delle leggi per prendere di mira un nemico politico) apre il suo cammino tra i mezzi di comunicazione: “Si deve impedire che una determinata persona giunga ad un incarico. Quindi, la gente lo squalifica, gli attribuisce un reato e poi si fa un processo sommario” ha dichiarato Francesco, il Papa.

Forse il destino del Pontefice, Lula, della Rousseff, insomma degli esseri umani, si ripete eternamente, come avviene nel mito di Sisifo? L’astuto mortale – condannato da Zeus a riportare eternamente in cima alla montagna il pesante macigno che cade inesorabilmente in basso – è forse il simbolo dell’alternarsi della gioia e della sofferenza che giocano tra loro sino alla morte? Forse, anche per questo, finché abbiamo vita, è necessario rompere il sortilegio del destino e, come afferma Borges: “…vale solo per un singolo momento: quello in cui l’uomo capisce una volta per tutte chi è”.

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