Culle vuote, popolazione in calo che l’aumento degli stranieri non riesce a compensare e decessi in aumento, soprattutto in concomitanza dei mesi più freddi e caldi dell’anno. È un quadro a tinte fosche questo tratteggiato dall’Istat negli indicatori demografici. Il dato più drammatico è quello della natalità, ai minimi storici in Italia. Per la prima volta in 160 anni, nell’ultimo anno sono stati meno di 400mila i bambini nati, con le nascite che si sono assestate a 393mila. Dal 2008, ultimo anno in cui si registrò un aumento, il calo è di circa 184mila nati, di cui circa 27mila concentrate dal 2019 in avanti. Questa diminuzione è dovuta solo in parte alla spontanea o indotta rinuncia ad avere figli da parte delle coppie. In realtà, tra le cause pesano molto tanto il calo dimensionale quanto il progressivo invecchiamento della popolazione femminile nelle età convenzionalmente considerate riproduttive, ovvero dai 15 ai 49 anni.

Prosegue quindi la tendenza alla riduzione della riproduzione, già in atto da diversi anni nel nostro Paese, con un’età media al parto stabile rispetto al 2021, pari a 32,4 anni. La diminuzione, precisa l’Istat, riguarda sia il Nord sia il Centro Italia, dove si registrano valori rispettivamente pari a 1,26 e 1,16 (nel 2021 erano pari a 1,28 e 1,19). Nel Mezzogiorno, invece, si registra un lieve aumento, con il numero medio di figli che si attesta a 1,26 (era 1,25 nell’anno precedente).

L’età media al parto è leggermente superiore nel Nord e nel Centro (32,6 e 32,9) rispetto al Mezzogiorno (32,1). Ma è il Trentino Alto Adige la regione con la fecondità più alta, con un valore pari a 1,51 figli. Le regioni a seguire, Sicilia e Campania, registrano valori molto più bassi, rispettivamente 1,35 e 1,33. Regioni con fecondità decisamente contenuta sono il Molise e la Basilicata, con un valore di 1,09 figli per donna, ma su tutte spicca la Sardegna che, con un valore pari a 0,95, è per il terzo anno consecutivo l’unica regione con una fecondità al di sotto dell’unità.

Contemporaneamente, sottolinea l’Istat, il Paese si sta svuotando. La popolazione residente al 1° gennaio 2023 è di 58,85 milioni, 179mila in meno sull’anno precedente, per una riduzione pari al 3 per mille. Prosegue, dunque, la tendenza alla diminuzione della popolazione, ma con un’intensità minore rispetto sia al 2021 (-3,5), sia soprattutto al 2020 (-6,7), anni durante i quali gli effetti della pandemia avevano accelerato un processo iniziato già nel 2014.

Nel calo generale della popolazione, intanto, aumentano gli stranieri: l’Istat segnala una lieve crescita della popolazione straniera, che è di 5 milioni e 50mila unità, in aumento di 20mila individui (+3,9 per mille) sull’anno precedente. Quasi il 60% degli stranieri, pari a 2 milioni 989mila unità, risiede al Nord, per un’incidenza dell’11%, la più alta del Paese. Risulta attrattivo per gli stranieri anche il Centro, dove risiede un milione 238mila individui (25% del totale) con un’incidenza del 10,6%, al di sopra della media nazionale. Il Mezzogiorno ha invece meno presenza straniera, 824mila unità (16%), per un’incidenza del 4,2%.

Al saldo negativo della popolazione residente, contribuiscono 713mila decessi, con un tasso di mortalità pari al 12,1. L’Istat osserva che rispetto all’anno precedente il numero dei morti è superiore di 12mila unità, ma inferiore di 27mila rispetto al 2020, anno di massima mortalità per via della pandemia. Il numero più alto dei decessi – rileva l’Istat – si è avuto in concomitanza dei mesi più rigidi, gennaio e dicembre, e nei mesi più caldi, luglio e agosto. In questi quattro mesi si è concentrato il 40% delle morti, pari a 265mila decessi, dovute soprattutto alle condizioni climatiche avverse che hanno penalizzato nella maggior parte dei casi la popolazione più anziana e fragile, composta principalmente da donne.

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