Nel Friuli Venezia Giulia dove il presidente uscente Massimiliano Fedriga succede a sé stesso con il 64% dei voti, Fratelli d’Italia riesce a perdere quasi il 14 per cento rispetto alle politiche di soli sei mesi fa, a dimostrazione che il pieno di consensi lo avevano fatto grazie a un clamoroso travaso dalla Lega e dall’elettorato moderato. Il partito di Matteo Salvini, che era piombato a livelli minimi, in parte risorge, anche se lo deve soprattutto al traino della lista del presidente della giunta regionale, che però gli ruba una bella fetta di voti, anche se non riesce a cannibalizzarlo, come qualcuno prevedeva. Fin dal primo momento, sul fronte orientale d’Italia l’unica suspence non è stata quella del nome del vincitore, ma su come si sarebbe concluso il testa a testa all’interno del centrodestra, salomonicamente diviso in tre parti quasi uguali. Sul nastro, Salvini ha bruciato Giorgia Meloni, ma la sua è tutt’altro che un’apoteosi.

Fedriga ha invece brindato quasi subito, visto che già gli exit poll lo davano abbondantemente in vantaggio. Il risultato del 64 per cento è molto simile a quello di Luca Zaia nel vicino Veneto, che nel settembre 2020 era stato riconfermato con oltre il 67%. È il segno che la Lega trae il maggior vantaggio possibile dalle strutture amministrative che governa. Fedriga lo ha sottolineato nel primo commento: “Ringrazio gli elettori del Friuli Venezia Giulia è un’importante manifestazione di fiducia che rappresenta una grande responsabilità, anche perché sono il primo governatore di questa regione a essere rieletto dai cittadini”. Da quelle parti, infatti, l’alternanza degli schieramenti era finora la regola. “Sapere che il lavoro svolto in questi cinque anni, segnati dal Covid e non solo, sia stato così apprezzato dalla gente – ha aggiunto – rappresenta un orgoglio e uno sprone per continuare a lavorare ancora più fortemente al fine di conseguire gli obiettivi del nostro programma”.

Soltanto il 45,26 dei friulani hanno votato, circa 500mila su un milione di aventi diritto. Al secondo posto, a distanza di quasi 35 punti percentuali, è rimasto il dem Massimo Moretuzzo, alleato con i Cinquestelle, Open-Sinistra di Furio Honsell e Alleanza Verdi Sinistra. Si è fermato al 29% ed è una sconfitta in buona parte attesa. Chi ha subito un autentico tracollo è Alessandro Maran, sostenuto dalla sola lista di Carlo Calenda e Matteo Renzi. Con neppure il 3 per cento è stato superato perfino dall’avvocatessa Giorgia Tripoli, sostenuta dai No Vax e dai No Green Pass, arrivata quasi al 5 per cento. Il significato della sconfitta di quello che diceva di essere il “terzo polo” è marcato da due fatti: a settembre aveva ottenuto l’8,72 per cento, quindi ha perso due terzi del consenso, inoltre giocava in casa, visto il ruolo in Italia Viva del triestino Ettore Rosato, fino a dicembre presidente dei renziani.

A tenere desti fino all’ultimo i sostenitori del centrodestra armati di pallottoliere è stata la sfida fra la Lega, Fratelli d’Italia e la lista del presidente Fedriga. Il testa a testa ha visto prevalere i leghisti, che hanno raggiunto il 19 per cento. In qualche modo una resurrezione rispetto al 10,95 per cento, con soli 64mila voti, di settembre. Non va dimenticato, però, che cinque anni fa la Lega elesse Fedriga al primo mandato, raccogliendo il 34,87 per cento di lista. Una resurrezione a metà. Meloni, invece, conosce il primo vero passo indietro dopo la vittoria di sei mesi fa: passare dal 31,3 per cento delle politiche al 18 per cento delle regionali è molto più di un arretramento. È una sconfitta che dimostra quanto il partito sia indietro nella costruzione di una classe dirigente, anche perché FdI puntava a riconfermarsi come forza egemone in regione. Riesce, invece, a distanziare seppur di poco la lista personale di Fedriga, che ha funzionato egregiamente, con oltre il 17 per cento, e ha evitato di umiliare il segretario con un sorpasso, come era avvenuto nel 2020 con la lista di Zaia in Veneto.

Sommando i voti ottenuti a settembre, centrosinistra e Cinque Stelle contavano almeno sul 33 per cento. Sono rimasti sotto il 30 per cento a dimostrazione che l’effetto Elly Schlein non c’è stato o è solo servito a recuperare quello che il Pd ha perso nei mesi di agonia seguiti alla sconfitta elettorale, prima della scelta della nuova segretaria. Se guardiamo ai risultati delle regionali 2018, vediamo quanto il mondo politico è cambiato: allora Fedriga vinse con il 57,09 per cento e la Lega arrivò quasi al 35 per cento, mentre i Cinque Stelle ottennero l’11,67 per cento e oggi sono al 2,5 per cento. Fratelli d’Italia, che nel nome portavano ancora il riferimento ad Alleanza Nazionale, valevano il 5,47 per cento, meno di un sesto del peso del partito di Salvini, con il quale sono ora spalla a spalla.

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