È stato scritto tanto in poche ore circa le affermazioni del Presidente del Senato Ignazio La Russa. Aggiungo qualche breve considerazione.

1. Ha scritto Pietro Senaldi che “la sinistra non ha il coraggio di ammettere che quella strage fu un errore” e che si è trattato non di guerra, ma di attentato. La Russa aveva affermato che non si è trattato di un’operazione gloriosa. Fantastico!

Si vuole deliberatamente ignorare che la Resistenza è stata guerra di guerriglia. Guerra di popolo che si fonda su un dato oggettivo: il popolo oppresso non può avere un proprio esercito che si batte cavallerescamente contro l’esercito nemico. La guerriglia prevede che il popolo esprima i suoi guerrieri sotto forma di civili che si armano nella clandestinità. E prevede che si colpisca il nemico non in campo aperto – sarebbe impossibile – ma quando il nemico è distratto, nei punti in cui è più debole. La guerriglia ha come progetto di rendere impossibile la vita al nemico. In questo operava di concerto ed era sollecitata dagli Alleati. È noto che Churchill riteneva le resistenze nei paesi occupati come la quarta arma, con l’Esercito, la Marina e l’Aeronautica. Gli Alleati hanno riconosciuto, aiutato, ringraziato e decorato le forze della Resistenza.

Esistono dati sulla quantità di militari tedeschi impiegati a difendersi dalle continue punture di spillo e azioni maggiori dei partigiani, per questo sottratte al fronte contro gli angloamericani. L’azione non fu un “errore” ma esattamente ciò che la guerriglia doveva fare.

2. L’altro stereotipo agitato in questi casi dalla destra consiste nel considerare la guerra di liberazione una sorta di scontro tra fanatici fascisti e comunisti. Gli altri italiani sarebbero stati equamente divisi tra coloro che tutto sommato accettavano le “cose buone fatte dal regime” e coloro che erano blandamente antifascisti, ma restii ad accettare la violenza partigiana. Non è vero. La Resistenza non è il vecchio antifascismo storico, ma l’innervarsi di questo su un intero popolo al quale si era svelata la natura del fascismo con la legislazione antisemita e nella prima fase della seconda guerra mondiale. Ha avuto una partecipazione enorme: relativamente pochi combattenti, com’è ovvio, e moltissimi civili che rischiavano come i combattenti per nasconderli, alimentarli, informarli, etc.

Certo, non tutti condividevano tutte le azioni. Ma la grandezza della Resistenza è stata anche questa, non dare per scontata la violenza di guerra, ma controllarla, discuterla, quando e come possibile nella clandestinità, negoziarla. Per questo esisteva la diarchia del comando nelle formazioni partigiane: nel corso dell’azione decideva il comandante, subito prime e subito dopo si discuteva con il Commissario politico. Rileggere la parte del libro di Claudio Pavone sulla violenza.

Era una guerra politica e la violenza doveva essere gestita politicamente. Era una guerra politica perché non bastava far cessare l’occupazione militare tedesca, ma bisognava liberarsi – la società italiana e quella europea – delle ideologie fasciste, dai loro regimi criminali e progettare nuovi patti di convivenza.

Poi c’è la rappresaglia. Fa parte dei rischi della guerriglia, e nessuno l’ha presa mai alla leggera. Ma l’unico modo per evitarla – forse – è non agire e dimostrarsi compiacenti verso il regime, sia quello neofascista della repubblica illegittima di Salò, sia quello nazista che guidava l’occupazione italiana. Non agire avrebbe significato non potere costruire autonomamente una nostra democrazia, ma rimanere sotto occupazione militare alleata per decenni.

3. È caratteristica della guerriglia anche la delega diffusa, l’assunzione di responsabilità dei piccoli gruppi – piccoli perché grandi sarebbero stati più facilmente scoperti. Non tutti i membri dei CLN hanno condiviso tutte le azioni militari. È normale, e sarebbe stato impossibile il contrario. È tuttavia, la distanza non era tra comunisti e moderati nella Resistenza, ma tra chi era più pronto di altri alla guerriglia. Ad esempio, si registrano partigiani comunisti che avevano enormi problemi morali ad uccidere, foss’anche un ufficiale delle SS. E sono esistiti partigiani liberali di destra, come il monarchico e indubitabilmente anticomunista Edgardo Sogno, medaglia d’oro al valore militare, che condivisero l’azione di via Rasella.

4. La Russa dichiara al Corriere: “D’ora in poi non parlerò più di fatti storici, solo di attualità – promette – e mi aspetto che mi si giudichi su quello che faccio e dico sui temi d’attualità, non sul passato, del quale semmai parlerò con gli storici”. Non ci siamo: la seconda carica dello Stato deve rappresentare la storia del paese, non può eluderla. Poi, con quali “storici” dovrebbe parlare?

Qualcuno ha detto “studiate la storia”, ma il punto non è studiare, bensì l’idea di partenza. La destra estrema che ora è al governo in Italia non ha condiviso il patto costituzionale e non intende accettarne le logiche. Non lo dicono apertamente – per tanti motivi: c’è un Presidente della Repubblica, c’è un’Europa, c’è un’opinione pubblica e c’è un vecchio vizio del neofascismo a dissimularsi e a sentirsi vittime – ma lanciano continue provocazioni che muovono in questa direzione.

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