Si è impiccato in carcere a Terni dove era stato portato in seguito al fermo per il femminicidio della moglie. Xhafer Uruci, 62 anni, aveva accoltellato a morte la donna, 56 anni. Nella notte tra giovedì e venerdì era stato sottoposto a fermo dalla polizia con l’accusa di omicidio volontario. Era stato bloccato subito dopo il delitto nella stessa casa dove la coppia di origini albanesi viveva. Secondo quanto riporta l’Ansa l’uomo era da solo in una cosiddetta cella di transito. Una procedura prevista in attesa dell’udienza nella quale il gip doveva esaminare la richiesta di convalida di fermo. L’uomo aveva già incontrato lo psicologo del carcere. La cella nella quale si è ucciso, inoltre, è vicina all’infermeria del carcere. I soccorsi sono stati quindi immediati ma per Uruci non c’è stato niente da fare. “Mi chiedo, come mai questa persona non era tenuta sotto stretta sorveglianza h24, a meno di due giorni dal grave fatto di sangue” dice l’avvocato Giorgio Cerquetti, difensore d’ufficio. Nell’interrogatorio davanti agli inquirenti l’uomo, bloccato in casa subito dopo il delitto, aveva chiesto scusa ed era apparso molto confuso.

Il legale: “La sua condizione era precaria. Mi chiedo se ci sia stata la doverosa attenzione” – “Questa mattina – ha detto ancora l’avvocato Cerquetti – sono andato nel carcere di Terni per avere un colloquio con il mio assistito in vista dell’udienza di convalida che doveva essere ancora fissata. Lì ho incontrato il pubblico ministero che mi ha informato dell’accaduto. Nessuno mi aveva avvertito prima, sul posto c’era già personale della Usl, la polizia penitenziaria e quella di Stato”. “La sua condizione mentale – prosegue il legale parlando dell’uomo fermato – era assolutamente precaria, come era parso evidente a me, ma anche all’autorità giudiziaria, quando giovedì sera era stato sentito in questura. Ho avuto subito la percezione di una persona disturbata, sconvolta, mi è bastato parlarci qualche minuto. Impressione confermata anche nel successivo interrogatorio da parte del pm. Dai resoconti giornalistici ho appreso dei suoi problemi di salute, del fatto che assumesse farmaci, e queste condizioni problematiche, fisiche ma pure mentali, mi sono sembrate palesi. Anche per questo non lavorava più da anni. Mi chiedo se ci sia stata la doverosa attenzione, in carcere, verso una persona così provata e a poche ore dall’omicidio”.

Dodicesimo suicidio da inizio anno –“Siamo al 12esimo suicidio di un detenuto nelle carceri italiane, cui aggiungere un appartenente al Corpo di polizia penitenziaria che solo qualche giorno fa si è tolto la vita in Campania. È una carneficina che si ha il dovere di fermare – commenta Gennarino De Fazio, Segretario Generale Uilpa Polizia Penitenziaria – Sovraffollamento detentivo, deficienze organizzative strumentazioni e tecnologie inadeguate e organici carenti in tutte le figure professionali, solo alla Polizia penitenziaria mancano 18mila unità, spesso si traducono nell’inflizione di una pena di morte di fatto. Servono misure emergenziali e parallele riforme strutturali che reingegnerizzino l’architettura dell’esecuzione penale e, in particolare, quella carceraria. Il Governo passi dai proclami ai fatti, non c’è più tempo”. Anche il sindacato autonomo di polizia penitenziaria Sappe interviene: “Purtroppo – afferma il segretario per l’Umbria, Fabrizio Bonino – il pur tempestivo intervento dell’agente di servizio non è servito a salvare l’uomo, che è stato trovato impiccato alle sbarre della cella. Abbiamo sempre detto che la morte di un detenuto è sempre una sconfitta per lo Stato”.

Il sindacato: “ “Serve un netto cambio di passo “- Per Donato Capece, segretario generale del Sappe, “la via più netta e radicale per eliminare tutti questi disagi è quella di un ripensamento complessivo della funzione della pena e, al suo interno, del ruolo del carcere. Il suicidio di un detenuto, e dall’inizio dell’anno sono stati già 12 – afferma -, più un poliziotto che si è tolto la vita pochi giorni fa, rappresenta un forte stress per il personale di polizia e per gli altri detenuti e sconforta che le autorità politiche, penitenziarie ministeriali e regionali, pur in presenza di inquietanti eventi critici, non assumano adeguati ed urgenti provvedimenti”. Capece lancia poi un appello al ministro della Giustizia, Carlo Nordio. “Serve un netto cambio di passo – afferma – sulle politiche penitenziarie del Paese. È necessario prevedere un nuovo modello custodiale. Ne abbiamo parlato anche recentemente con il sottosegretario alla Giustizia Del Mastro che ci è sembrato particolarmente sensibile. A lui abbiamo ribadito che tutti i giorni i poliziotti penitenziari devono fare i conti con le criticità e le problematiche che rendono sempre più difficoltoso lavorare nella prima linea delle sezioni delle detentive delle carceri, per adulti e minori. Mi riferisco alla necessità di nuove assunzioni nel Corpo di polizia penitenziaria, corsi di formazione e aggiornamento professionale, nuovi strumenti di operatività come il taser, kit anti-aggressioni, guanti antitaglio, telecamere portatili. Tutte misure promesse da mesi dai precedenti vertici ministeriali ma di cui non c’è traccia alcuna in periferia”.

Il garante dei detenuti: “Sovraffollamento e carenza di organici” – “Il secondo suicidio dall’inizio dell’anno al carcere di Terni deve essere motivo di riflessione e non di facili conclusioni” dice l’avvocato Giuseppe Caforio, Garante per la Regione Umbria delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale. Parlando con l’Ansa il garante evidenzia soprattutto il problema del sovraffollamento e della carenza degli organici. “Le carceri umbre e segnatamente quello di Terni – sottolinea Caforio – stanno vivendo un momento delicato dovuto almeno a tre fattori concomitanti: ci sono circa 550 detenuti a fronte di una capienza prevista per 450, di cui 150 con problematiche psichiatriche serie con molti di loro incompatibili con la carcerazione; gravi carenze di organico nella polizia penitenziaria con Terni che ha il rapporto più deficitario tra numero di detenuti e agenti penitenziari; carenze sanitarie specie di psicologi e psichiatrici”. Per il Garante “il suicidio di un detenuto è una sconfitta del sistema e getta scompiglio psicologico fra i detenuti e fra gli agenti penitenziari alterando i delicati equilibri dell’intera comunità carceraria”. “Encomiabile in questo contesto – prosegue – è il lavoro della polizia penitenziaria che con abnegazione e umanità spesso si sostituisce al personale sanitario. Per arginare l’attuale contesto occorre una task force di psicologi e psichiatri che possa essere di supporto in una sorta di burn out ai detenuti e agli agenti penitenziari fortemente provati da eventi come quelli dei suicidi e dell’auto lesionismo”.

Foto di archivio

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