A Bergamo per far luce sulla gestione della pandemia ha indagato la magistratura, notificando l’avviso di conclusione degli accertamenti a una ventina di persone. A Venezia, invece, è stata una Commissione d’inchiesta chiesta dalle minoranze del consiglio regionale ad occuparsi di una delle fasi più drammatiche del Covid, la seconda ondata dell’inverno 2020, con un numero di decessi superiore, anche in valore assoluto, a quello di altre regioni italiane. Che cosa accadde in quei mesi drammatici, mentre il governatore Luca Zaia teneva le conferenze stampa quotidiane dalla sede della Protezione Civile, additando il modello veneto come un approccio esemplare all’emergenza? La commissione – si è insediata a giugno 2021 e ha ascoltato 57 persone – ha però dato due risposte diverse. Non a caso il consiglio regionale si appresta a discutere due relazioni. L’appuntamento è per il 21 marzo. Si preannuncia una seduta dai toni vivaci, anche se vi sarà la sola presa d’atto dei documenti, uno della maggioranza a trazione leghista, l’altro delle opposizioni di centrosinistra e Cinquestelle, che saranno inviate alla procura di Venezia per eventuali valutazioni di natura penale.

“La sedia vuota di Zaia” – Alla vigilia della discussione, cinque consigliere regionali di Partito Democratico, M5S e Il Veneto hanno illustrato la posizione critica che sarà relazionata da Vanessa Camani. “Innanzitutto ci auguriamo che Zaia sia presente, perché la sua sedia è vuota da due anni e mezzo. Con le conferenze stampa da Marghera ha dato corso a una lettura di regime, ha avviato una forma di comunicazione non democratica, con una sola voce che raccontava la pandemia”. La commissione ha lavorato a cercare una verità zoppa: “Abbiamo avuto frequenti difficoltà nell’ottenere i documenti di approfondimento richiesti, anche se chi si presentava sapeva in anticipo gli argomenti che sarebbero stati affrontati”, hanno spiegato le forze di minoranza in Consiglio regionale.

“Si potevano salvare 3mila persone” – Le minoranze sostengono che nella prima ondata del virus, da febbraio all’estate 2020, il Veneto fece scelte restrittive che contennero la diffusione. “Nella seconda ondata – spiega Camani – c’è stata invece una spinta aperturista, evitando la linea rigorista e i risultati si videro quando il Veneto rimase in zona gialla”. Uno studio del professor Enrico Rettore, docente di Econometria all’università di Padova, sostiene che in Veneto ci sarebbe stato un aumento di circa 3.000 morti dovuti al fatto che non venne adottata la zona rossa. Meno restrizioni, più morti nell’arco di tredici settimane cruciali. Il demografo Enzo Migliorini ha dichiarato: “Dal 4 novembre al 30 dicembre i morti eccedenti nel Veneto rispetto alla media nazionale sono stati 23,3 ogni 100.000 abitanti, per un totale di 1.142 persone che probabilmente si sarebbero salvate se il Veneto fosse stato classificato zona rossa. Aggiornando i dati al 7 gennaio l’eccedenza sale a 32,72 per un totale di oltre 1.600 morti in più”. Era l’epoca in cui Zaia diceva che il Veneto aveva più contagi perché faceva più tamponi e giustificava i decessi con una maggiore capacità di individuazione dei morti da Covid. La relazione di minoranza tenta di dimostrare che all’origine del disastro della seconda ondata ci fu in realtà una eccessiva tolleranza, dovuta anche a motivazioni economiche.

Sistema in tilt – Nell’autunno 2020 il Veneto ebbe problemi nella raccolta dei dati e quindi la fotografia della realtà non era precisa. “Ancora non sappiamo quanto fosse grave il ritardo nell’invio dei dati o imprecisa l’indicazione sullo stato clinico. Non è neppure stato chiarito quale sia l’impatto che le irregolarità abbiano avuto sul calcolo dell’Rt (l’indice di trasmissibilità, ndr) e sulla assegnazione della corrispondente zona di rischio al Veneto”. È vero che la decisione era presa a Roma, ma dei 21 parametri, due erano essenziali: l’Rt e il numero di posti disponibili in terapia intensiva. Su questo secondo punto le minoranze obiettano: “In agosto 2020 furono indicati 1.016 posti in terapia intensiva, una parte dei quali non attiva, ma ‘attivabile’… erano posti non prontamente utilizzabili e senza la disponibilità concreta di personale medico. Se avessimo utilizzato il riferimento ai posti letto realmente esistenti e operativi, e cioè 700, la Regione Veneto avrebbe superato la soglia del 30 per cento di occupazione, con l’immediata applicazione della zona rossa o arancione, verosimilmente nella prima metà di novembre”.

I test della discordia – Secondo la Regione Veneto la scelta di utilizzare test rapidi su vasta scala fu vincente. Secondo le minoranze, invece, portò a far girare di più il virus, come aveva scritto il professore Andrea Crisanti in uno studio che denunciava l’incapacità di intercettare il 30 per cento dei positivi con i soli antigenici. “La preoccupazione principale del presidente Zaia non è stata quella di verificare la correttezza dei contenuti dello studio, ma di smontare la credibilità accademica del professore e del suo lavoro”, scrivono le minoranze. Nella relazione di maggioranza, infatti, la bellezza di 30 pagine su un totale di 133 sono dedicate a confutare l’assunto di Crisanti, in base alle dichiarazioni del dottor Giorgio Palù, dell’ex direttore generale della sanità veneta Domenico Mantoan, di Luigi Ambrosini (amministratore delegato di Abbott, società fornitrice dei test rapidi), del professor Massimo Clementi del San Raffaele di Milano e del dottor Roberto Rigoli, coordinatore delle microbiologie del Veneto (è sotto inchiesta a Padova per i test effettuati sui tamponi rapidi). La Regione difende la scelta di aver privilegiato il maggior numero di tamponi rapidi, per una veloce identificazione dei positivi.

“Primi della classe” – Alla chiusura dei lavori della Commissione – che aveva come scopo di far luce sull’andamento della seconda ondata – per le minoranze “oggi sappiamo che da ottobre 2020 a marzo 2021 in Veneto i morti per Covid sono stati 8.282. Peggio di noi, nella seconda ondata solo la Lombardia, con oltre 13.000 morti ma anche il doppio della popolazione”. All’origine anche scelte politiche, a loro avviso: “Bisognava assumersi la responsabilità di ammettere che era necessario un sistema più rigoroso di chiusure, che per salvare i veneti, quelli a scuola, al lavoro, ma anche quelli ricoverati nelle case di riposo, si doveva adottare la misura estrema prevista dalla zona rossa. Anche a costo di perdere un po’ della credibilità di ‘Regione virtuosa nella lotta al Covid’ accumulata durante la prima ondata. Anche a costo di perdere un po’ di consenso. Anche a costo di non essere più i primi della classe”.

Il balletto di numeri – Ma davvero la seconda ondata fu così devastante? La relazione di maggioranza lo nega, ma per farlo prende in esame uno studio della rivista Lancet che non riguarda solo l’inverno 2020. “La prestigiosa rivista scientifica internazionale ha analizzato l’eccesso di mortalità durante l’intero periodo della pandemia dall’1 gennaio2020 al 31 dicembre 2021. È un’ulteriore conferma dell’efficacia della strategia regionale. Per l’Italia è stato calcolato un eccesso di mortalità pari a 227,4 ogni 100.000 abitanti, mentre per il Veneto è stato calcolato un eccesso pari a 177,5 ogni 100.000 abitanti, tra i valori più bassi tra tutte le Regioni”. È inferiore ad altre 14. Inoltre, il rapporto tra l’eccesso di mortalità e i decessi effettivamente diagnosticati come Covid-19, “è stato calcolato essere pari a 1,89 per l’Italia, mentre in Regione Veneto è stato pari a 1,34, tra i più bassi di tutte le Regioni”. Questo significa una maggiore efficienza diagnostica. La relazione di maggioranza giustifica i maggiori numeri del periodo anche con una scansione temporale diversa della seconda ondata: “In Veneto si è manifestata nel periodo ottobre-dicembre 2020, mentre in altre Regioni si è verificata a novembre-dicembre 2020 protraendosi fino a gennaio-febbraio 2021”. Dati che vengono contestati dalle minoranze: “Considerando l’intero 2020, quindi entrambe le ondate, il Veneto presenta un tasso standardizzato di decessi Covid pari a 117,9, l’ottavo più alto tra le regioni italiane. Ma se ci limitiamo a ottobre-dicembre, il Veneto presenta un tasso di 81,5 ed è la terza regione con il dato peggiore, dietro a Valle d’Aosta e Provincia di Bolzano. In questa drammatica classifica la Lombardia risulta addirittura ben più indietro, con un valore di 66,3”.

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