Una “spada di Damocle” tra circa il milione e mezzo di virus animali sconosciuti di cui “circa la metà sono in grado potenzialmente di infettare l’uomo”. Così in una intervista al fattoquotidiano.it il virologo Massimo Clementi aveva definito l’influenza aviaria H5N1, che ha contagiato un padre e una figlia di 11 anni, poi morta, in Cambogia, e sta mietendo vittime tra gli uccelli e anche mammiferi come i leoni marini in Perù. La World Organisation for Animal Health (WOAH) stima che, nelle ultime tre settimane, 2,5 milioni di animali sono morti o sono stati abbattuti a causa dell’aviaria. “Usando i dati riportati alla World Organisation for Animal Health tra il 2005 e il 2019 – scrive la Woah – la diffusione è minima a settembre, inizia a salire a ottobre e raggiunge i massimi a febbraio”. La stagione non è comunque ancora finita: nelle ultime tre settimane sono stati segnalati 37 focolai nel pollame e circa 120 in altri volatili. Tra essi ci sono il primo focolaio nel pollame in Bolivia e il primo in uccelli selvatici a Cuba e in Ecuador. In questo periodo, inoltre, circa 2,5 milioni di animali sono morti o sono stati abbattuti a causa dell’aviaria.

Un quadro preoccupante che vede anche l’Italia coinvolta. Prima la moria di gabbiani sul Lago di Garda, poi le segnalazioni di ulteriori esemplari morti in Trentino e anche qui le prime positività accertate all’influenza aviaria. L’intensa circolazione del virus fra gli uccelli selvatici continua a preoccupare gli esperti a tutte le latitudini. “Questo – spiega all’Adnkronos Salute lo scienziato che ha diretto il Laboratorio di microbiologia e virologia dell’ospedale San Raffaele di Milano – è uno degli aspetti che preoccupa di più la comunità scientifica perché, da un punto di vista epidemiologico, i veterinari segnalano che questa infezione sta emergendo in varie specie selvatiche. Ci sono state delle segnalazioni di casi umani, soprattutto in Estremo Oriente, ma sembra che siano sempre di carattere zoonotico“.

L’assenza di trasmissione da uomo a uomo è stata per esempio confermata dalle autorità sanitarie della Cambogia. “Finché le cose stanno così, e non c’è infezione interumana, ovviamente va relativamente bene- osserva Clementi – C’è però sempre il rischio che l’infezione possa passare da un ambiente selvatico, come quello appunto del lago di Garda, a un ambiente che coinvolga anche i nostri allevamenti. In termini di trasmissione all’uomo per il momento non c’è niente di concreto, se non appunto casi sporadici. Però è una situazione da tenere assolutamente sotto monitoraggio perché è veramente una di quelle situazioni potenzialmente a rischio”.

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