Entra nel vivo il confronto sulla riforma del Patto di Stabilità dell’Ue, che resta sospeso solo fino alla fine del 2023. “Le prossime settimane saranno cruciali perché non abbiamo il lusso del tempo”, ha detto il commissario Ue all’Economia Paolo Gentiloni. “In primo luogo perché i mercati si aspettano da noi dei risultati, in secondo luogo perché gli Stati membri hanno bisogno di chiarezza sulla strada da seguire per il loro bilancio per i prossimi anni. E infine perché, se vogliamo seriamente riformare le nostre regole, semplici modifiche al modo in cui interpretiamo questa o quella disposizione non basteranno”. Secondo Gentiloni, dopo la presentazione degli orientamenti della Commissione lo scorso novembre sono emerse “tre aree di convergenza“: la “combinazione di un aggiustamento fiscale più graduale con riforme e investimenti”, “le specificità per Paese, con piani strutturali di bilancio preparati da ciascuno Stato membro e percorsi di aggiustamento calibrati”, e “la prospettiva di medio termine, in modo che i piani di aggiustamento possano essere applicati a tutti gli Stati membri”. Ma serviranno “riflessioni” sul ruolo della Commissione.

Il vice presidente della Commissione Valdis Dombrovskis si è detto favorevole a “lasciare agli Stati membri un maggiore margine di manovra per determinare le proprie politiche fiscali e la giusta combinazione di politiche per ridurre il debito”, ma “questo margine di manovra deve essere accompagnato da un’applicazione più rigorosa in caso di non conformità“. Il nodo, dice dal canto suo Gentiloni, è “garantire un processo multilaterale” in un “forte quadro comune” perché la ‘titolarità’ dei Paesi sui conti non diventi avere “regole fiscali ‘à la carte”. Questo del resto è il messaggio arrivato già chiaramente da alcuni dei Paesi ‘frugali‘. Mercoledì e giovedì si riunirà il comitato economico e finanziario (in formato euro giovedì pomeriggio), che porterà al livello politico il confronto tecnico a tutto campo delle ultime settimane. Al momento non sembra esserci intesa su nulla. E la Germania paralizza la trattativa.

Stando ai piani iniziali, la riforma dovrebbe essere oggetto del prossimo Consiglio Ecofin (14 marzo) e andare al Consiglio europeo del 23-24 marzo. La Commissione potrebbe quindi fare una proposta legislativa per fine marzo-inizio aprile, per completare l’iter legislativo entro fine anno, quando scade la sospensione del Patto. Mentre la Germania sostanzialmente tace, alcuni ipotizzano un’inversione dei termini: anche senza accordo al consiglio la Commissione, ipotizzano, potrebbe fare una proposta legislativa per far avanzare i lavori. Altri ancora puntano su un’intesa politica minima a breve, con lo stesso obiettivo. Ma divisioni, secondo l’Ansa, ci sarebbero su tutto, persino sui numeri che in apparenza dovrebbero essere condivisi. La comunicazione della Commissione non mette neppure in dubbio i paletti dei trattati, con il tetto del 3% del deficit sul pil e del 60% del debito sul pil, ma i ‘frugali’ chiederebbero comunque garanzie.

La Commissione ha puntato poi su un sistema sanzionatorio più snello e realistico, dopo che la regola di ridurre il debito di un ventesimo l’anno in caso di sforamento del 60% è rimasta sulla carta. La Germania non sembra però così convinta di voler archiviare il criterio. Alcuni Paesi giudicano troppo lunghi i sette anni per l’aggiustamento dei conti degli stati “cicala” (sarebbero 4 più altri 3 in presenza di riforme strutturali). Altri trovano quasi arbitrario e complicato il criterio dell’analisi sulla sostenibilità del debito (Dsa), con cui la Commissione elaborerà i piani mirati per singoli Stati. Persino la Germania sarebbe scettica sul criterio. Criticità ci sarebbero pure sulle autorità indipendenti: passi l’European fiscal board, ma le singole autorità nazionali che potrebbero intervenire avrebbero ruoli ben diversi e soprattutto non tutte sarebbero indipendenti dalla politica.

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