Per chi come me si è formato nei movimenti e nelle formazioni politiche della sinistra l’elezione di Elly Schlein come segretaria del Partito Democratico rappresenta un passaggio storico. “Si può fare!” gridava Gene Wilder in Frankestein Junior quando capì che la sua creatura poteva vivere. E così anche noi oggi sappiamo che si può fare, perché Elly lo ha fatto. Ha portato fuori dalla minorità i valori di una sinistra che si era rassegnata a un ruolo marginale e di testimonianza.

Ha cambiato i linguaggi, ha ricostruito una narrazione, ha rimescolato le culture politiche e così ha dato rappresentanza a chi non si riconosceva più in nessuna delle formazioni politiche che abitavano il frastagliato campo della sinistra di questo Paese. Ha riconnesso la storia della sinistra radicale con quella del riformismo italiano togliendo alla prima la tendenza a farsi “Cassandra” delle storture del capitalismo e alla seconda quella di difenderle per farsi garante della stabilità.

Elly rappresenta un modo nuovo di guardare alla politica. Non è soltanto la prima donna a guidare un partito di sinistra in Italia, ma è anche la prima leader di tutto il sistema politico che non appartiene alla storia del ‘900. Di quella storia ne conosce la rilevanza, ma la sua visione è tutta piantata nel presente e soprattutto nel futuro. È questo il motivo per cui non l’hanno vista arrivare, non hanno capito cosa stava succedendo fino a quando non è stato troppo tardi.

Durante tutta la campagna congressuale, Elly ha ribadito che questa era una sfida collettiva e che la sua leadership sarebbe stata diversa, non quella di una “donna sola al comando”. Ma, nonostante il sostegno e lo sforzo generoso di molti di noi, la vittoria alle primarie è frutto per lo più della sua tenacia e della sua passione.

Ora però viene la parte più difficile. Finita la bolla del congresso inizia il mondo reale e la responsabilità che ci siamo assunti non è di poco conto. Fuori c’è la guerra, ci sono le persone che muoiono in mare sulle nostre spiagge abbandonate da un governo disumano che attribuisce alle vittime la responsabilità di essere tali per non rispondere delle proprie. Ci sono la crisi climatica e quella sociale. C’è quel Paese che Elly ha descritto così bene in questi giorni, che ha bisogno di risposte e ha un bisogno urgente di essere considerato e rappresentato.

Quella del Partito Democratico si è dimostrata una comunità straordinaria che resta però, soprattutto al sud, ostaggio di un ceto politico interessato più al potere che al possibile. Se vogliamo provare davvero a cambiare l’Italia dobbiamo prima cambiare questo partito, nelle sue pratiche e nelle sue liturgie. Renderlo davvero utile alle persone prima che ai suoi dirigenti. E poi battere l’Italia palmo a palmo, richiamare in servizio i tanti delusi non solo dal Pd, ma dalla politica in generale. Solo così saremo davvero in grado di contendere alla destra il governo del Paese e provare a cambiare la condizione di vita di milioni di persone che ci guardano con speranza.

Questa non è una responsabilità che possiamo permetterci di lasciare solo sulle spalle di una persona, non stavolta. Abbiamo il dovere di sentirla nostra, di sporcarci le mani, di aiutarla a cambiare davvero tutto. Adesso tocca a noi.

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