“Sono partito nell’estate del 2018. Erano ormai anni che sentivo che la mia carriera era bloccata e non riuscivo a ottenere di più. Le mie giornate erano incredibilmente piene ma non ero soddisfatto del livello che potevo raggiungere, sia finanziariamente che professionalmente. L’università americana mi ha salvato”. Marco Chiavetta ha 36 anni, è originario di Teramo ed è un musicista e compositore. Si è trasferito a 31 anni a Los Angeles per iniziare la carriera. “Qui in pochi mesi si può arrivare a coprire ruoli importanti, invece di rimanere confinati per anni in piccole mansioni”, sorride.

Marco ha iniziato con la musica fin da piccolo, dalla chitarra e il pianoforte suonati alle elementari al basso elettrico nella band fondata a 14 anni con la quale “mi sono fatto le ossa sui palchi”. All’università scopre la passione per la composizione di musica per film e videogame. La sua vera opportunità arriva nel 2018, quando viene accettato per un master dal Berklee College of Music, negli Stati Uniti. “Per 8 anni, fino a quel momento, avevo continuato a insegnare, lavoravo come tecnico e avevo scritto per tre corti e varie pubblicità, senza ottenere quello che volevo”.

Berklee College apre le porte a Marco per il trasferimento negli Stati Uniti. “La velocità con cui si entra in contatto con realtà professionali a Los Angeles è strabiliante”, ricorda. Dopo tre giorni in città inizia la sua internship. I capi lo aiutano fin nelle più piccole situazioni, “come tenere le valigie in ufficio o accompagnarmi a vedere case”. Ma, soprattutto, gli vengono affidati lavori di grande responsabilità già dal primo giorno. “Ho iniziato la mia carriera in un’azienda musicale dove abbiamo lavorato tra l’altro a titoli come Ad Astra o Toy Story 4. Poi, cambiando posizione, sono passato alla creazione di audio per decine di pubblicità”.

Dal 2022 Marco è entrato a far parte di una grande azienda svedese come sound designer e compositore, e ha avviato il suo studio di produzione musicale e sound design. Oggi vive e lavora in Olanda, dove da remoto gestisce anche il suo progetto musicale. “Fin dal primo anno in America ho imparato che rischiare porta risultati”, racconta. Si prendono a volte grosse delusioni, certo, aggiunge, ma non ci sono professioni in cui si cresce se non c’è la possibilità di sbagliare. Anche nel campo della musica.

L’Italia, in questo senso, ha un mercato “estremamente piccolo – continua – direi quasi indipendente”. Ne deriva una flessibilità lavorativa “incomparabile” rispetto a quello che può accadere all’estero. A Los Angeles ad esempio, il mercato “è velocissimo e richiede la presenza di team. Quasi tutti i compositori, superata la prima fase di sviluppo, hanno più di un assistente: questo apre le porte a tanti professionisti alle prime armi che possono muovere i primi passi in progetti grandi che non avrebbero mai visto”. Stesso discorso nel campo del gaming, dove il nostro Paese è secondo il compositore abruzzese “privo di centri di sviluppo dell’industria”, mentre nel resto d’Europa e negli Usa ci sono “migliaia di giovani aziende in fermento”.

Per Marco lasciare l’Italia non è stato difficile all’inizio, ma lo è diventato negli anni. “Non mi sono mai ritenuto in fuga, non ho niente da cui scappare. Adoro il mio Paese, sono fiero della nostra cultura e a volte penso che sarebbe tutto più facile se fossi a casa. Spesso ho sperato di poter aprire un mio studio a Roma, ma alla fine ho sempre trovato molte più opportunità, spazio e fiducia all’estero”.

Per ora rientrare in Italia non rientra nei suoi piani. “Mi piacerebbe tantissimo però collaborare con aziende italiane o progetti cinematografici nostrani”. Il suo sogno si sta avverando col tempo, perché chi intraprende questa carriera sa che sarà lunghissima. “Ho aperto un piccolo studio di produzione qui ad Amsterdam e vorrei assumere personale per il sound design e la post produzione”. Intanto, spera di poter riprendere presto gli studi di direzione d’orchestra.

Quale sarebbe il suo consiglio per un giovane italiano? “Fare esperienza in diversi Paesi, all’estero, il prima possibile – risponde Marco –. Non serve realizzarsi o stabilirsi fuori. Uscire, però, significa esporsi a nuove culture, tradizioni, talenti e aspettative. Molte cose le diamo per scontate solo perché l’Italia è un’eccellenza”, aggiunge. E poi conclude: “Non serve inseguire i successi facili o le promesse da social media, come imparare a orchestrare come Ravel in 17 ore. Ci vorranno 17 anni per orchestrare come Ravel, ma prima si inizia con pazienza e dedizione, prima si arriva dove si vuol arrivare”.

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“A Mumbai prospettive di carriera interessanti. L’Italia ci stava stretta, ma siamo tornati per la nostra startup”

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