Per la logica secondo cui più sei grande e più difficilmente riesci a manovrare in poco spazio, sono principalmente i condomini a essere rimasti incastrati nel Superbonus dopo il blocco della cessione dei crediti. E con loro i tecnici che ci hanno lavorato prima di far partire i cantieri. Gli studi di fattibilità sono spesso complessi e stratificati, ragionando sui lavori si scoprono necessità cui non si era pensato prima, si devono rifare i conti e poi bisogna mettere d’accordo, appunto, un condominio.

Un esempio che rende piuttosto bene la situazione è quello di un edificio milanese dei primi del Novecento con problemi strutturali ed energetici, dove abitano una sessantina di famiglie. Il 110% ha rappresentato un’opportunità per riqualificarlo completamente, seppure andando incontro a lavori ingenti e solo in parte agevolati dal Superbonus. Il percorso a ostacoli, racconta a ilfattoquotidiano.it uno dei tecnici che ha seguito la vicenda, ha avuto inizio nel 2020 con i primi studi di prefattibilità. Nel 2022 viene incaricato un gruppo di tecnici composto da ingegneri strutturisti, ingegneri termotecnici e architetti per tutte le analisi e le certificazioni necessarie per accedere alle agevolazioni (conformità edilizia, analisi energetica, analisi strutturali, modello statico) oltre al computo metrico estimativo con prezzari DEI e Regione. Il tutto per un costo, soltanto di spese tecniche, di circa 100mila euro, che avrebbe dovuto in parte essere rimborsato dal Superbonus. I lavori, invece, avrebbero dovuto superare quota 2 milioni di euro.

I correttivi al bonus hanno via via complicato lo scenario, sia per la cessione del credito che per la ricerca di un’impresa disponibile ad affrontare il lavoro. Poi, quando i tecnici erano quasi arrivati in fondo ai preliminari, ecco che “in maniera del tutto repentina e incomprensibile nei modi e nei tempi, viene cancellata la possibilità di usufruire della cessione del credito e sconto in fattura”, sottolinea il professionista. Per un condominio come quello di cui si parla significa dover praticamente rinunciare ai lavori a causa dell’incapienza fiscale della maggior parte dei condomini. Ma significa anche pagare un anno di studi e analisi di fattibilità che a parere dei tecnici saranno sempre utili per futuri lavori, ma vallo a spiegare ai condomini rimasti col cerino in mano e il conto da pagare.

“In un contesto in cui dall’Europa viene richiesto il miglioramento delle classi energetiche (senza per altro dire nulla sulla questione statica del patrimonio immobiliare in gran parte vetusto, suggerendo di coibentare su strutture non verificate alla loro stabilità statica e capacità sismiche) si blocca un processo virtuoso di miglioramento del patrimonio edilizio per il risparmio energetico – conclude il tecnico – Gli studi strutturali sul nostro condominio hanno peraltro scoperchiato il vaso di Pandora e dimostrato una serie di problematiche strutturali dell’edificio a cui il condominio ora dovrà dare risposta con lavori necessari che, prevedendo la demolizione della maggior parte dell’intonaco delle facciate, prevedono per legge la relativa coibentazione. Con la conseguenza che con molta probabilità i lavori (o parte di questi, ingenti) dovranno comunque essere realizzati, in uno scenario ad oggi completamente nuovo e sfavorevole”.

D’altro canto anche chi si è fermato prima pur avendo tutte le carte in regola con i vari aggiustamenti normativi, ha avuto disavventure analoghe. Lo racconta una professionista attiva tra Milano e Monza, che ha dovuto rinunciare a ben tre cantieri condominiali da complessivi 5 milioni di euro – cappotto, serramenti e caldaia per un’ottantina di famiglie – per un totale di poco più di 250mila euro di spese tecniche già … spese. La scorsa primavera le imprese coinvolte, di media dimensione, non se la sono sentita di avviare i lavori, nonostante le rassicurazioni delle banche di riferimento. E il tecnico tutto sommato era d’accordo con loro. “Temevo che il cantiere rimanesse bloccato con i ponteggi montati e in un clima di tale incertezza non me la sono sentita di spingere per andare avanti”, spiega raccontando come, per non lasciare nulla di intentato, ha passato l’ultimo anno a rivedere i progetti e trattare con dei general contractor per provare a far andare o stesso i lavori in porto, ma le condizioni offerte ai condomini erano inaccettabili e ora il governo Meloni con lo stop alle compravendite di crediti ha messo la parola fine alla ricerca. Lo studio ha recuperato metà del valore delle spese tecniche del cantiere più piccolo, mentre per gli altri due è ancora tutto in alto mare. Per la professionista in soldoni significa aver già perso 25mila euro e rischiare di perderne altri 200mila. Su lavori già svolti.

“È chiaro che non puoi pensare di riqualificare in sei mesi quello che non hai fatto nei 30 anni precedenti e quindi un’azione che va in questo momento a tagliare in modo così netto questo opportunità, determina un effetto devastante, perché la parte terminale della filiera è quella più fragile, fatta da migliaia di imprese e professionisti”, commenta l’amministratore delegato di Gabetti Lab, Alessandro De Biasio. “Nello specifico noi non soffriamo di cantieri rimasti appesi, perché ci siamo preoccupati di organizzare la filiera con general contractor che avessero capienza fiscale adeguata. Al termine di questa esperienza avremo riqualificato circa mille condomini, purtroppo però abbiamo anche sette-ottomila richieste che non saremo in grado di accogliere e qui sicuramente ci sono tantissimi studi di fattibilità e analisi propedeutiche alla realizzazione, che andranno certamente perse: quello che mi sta arrivando in questi giorni da centinaia di imprese e studi di progettazione che lavorano con noi è che stanno pensando di ridurre gli organici… solo chi non conosce il mondo artigiano può non immaginare quello che accadrà”.

Vista da lato dell’impresa, in effetti, la faccenda assume contorni surreali. “Grazie a un contratto con la nostra banca, abbiamo scontato in fattura i lavori di un piccolo condominio, era un cantiere da circa 300mila euro e siamo ancora in attesa di incassare il corrispettivo di una fattura girata alla banca un anno fa – racconta un’impresaria edile trentina – In pratica non abbiamo ancora incassato tutti i soldi di lavori fatti nel 2021: l’anno scorso, quando hanno cambiato le regole in corsa sulla cessione del credito, la banca ha stracciato il vecchio contratto e ce ne ha fatto uno nuovo. Così adesso trattengono una percentuale più alta e ci vuole un sacco di tempo per riavere il denaro che abbiamo anticipato: abbiamo fatto da banca alla banca e ai condomini, abbiamo pagato operai, materiali, tetto, serramenti, imposte … ed eccoci qua in attesa”. Se il denaro non rientra l’impresa, che ha altri cantieri aperti, per i quali ha di fatto anticipato tutto affidandosi a un meccanismo che si è inceppato bloccandola, sarà costretta a prendere in prestito dell’altro denaro. “E la banca sarà solo contenta – sottolinea l’imprenditrice – visto che ci pagheremmo sopra gli interessi”. Con i tassi al galoppo non è proprio il massimo, ecco, soprattutto per chi i soldi li avrebbe, se non li avesse prestati al sistema. “Il problema è che oltre alle fatture scontate che non sono rientrate, ci sono quelle ancora da asseverare e ci sono altri cantieri in cui noi siamo subappaltatori, quindi dobbiamo aspettare che i titolari del contratto incassino e ci rimettano il dovuto e le ultime novità non aiutano”, conclude. Facendo i conti si arriva a un vuoto da oltre mezzo milione, che tiene inchiodata un’impresa artigiana che dà da mangiare a 20 persone con relativo indotto.

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